giovedì 20 agosto 2009

LA PARTITA - QUARTA E ULTIMA PARTE

E' ora di ricominciare. Mi risiedo al mio posto mentre il nuovo mazziere inizia il primo giro. Il pelato è visibilmente turbato. Il maniaco probabilmente nemmeno si è accorto del cambio, tanto ha la testa infilata tra le braccia per la disperazione di aver perso tutto quel denaro. Gli altri giocatori con lo sguardo cercano me. Mi fanno un cenno d'assenso, quasi avessero capito quello che ho fatto. La cosa mi preoccupa.
Se anche loro se ne erano accorti, perché non erano intervenuti prima?
Il vecchio che mi sedeva vicino abbassò la testa portandola davanti alla mia.
- Secondo te il pinguino è al nostro tavolo?
Alzai le spalle come risposta.
- Secondo me no! - continuò - Angelo è l'unico che vince e lo conosco, non è lui, gli altri per ora hanno fatto giocate troppo stupide per essere professionisti.
- Potresti essere tu vecchio, in fondo io non ti conosco - gli rispondo.
- Magari essere tanto bravo da meritarmi un soprannome al tavolo - mentre rialza la testa e si mette al suo posto per leggere le carte.
Non ero lì per la gloria, non ero lì solo per i soldi, ero lì per vendetta.
Andavo a caccia dei professionisti di poker. Nei sottobar, nelle bische, in appartamenti "sicuri". Mi facevo invitare da gente conosciuta ai tavoli, dove avevo perso apposta per farmi cucire addosso l'immagine del pollo e poi in un'altra sera, quella vera, giocavo come sono capace e portavo via almeno dieci volte la somma investita.
In meno di un'ora tolsi tutte le fiches al pelato. Lasciai stare gli altri, dissi solo di lasciare perdere il tavolo cash e dedicarsi ai tornei dove si paga un Buy-in modico per non rischiare di rimanere in mutande molte presto.
Offrii da bere al vecchio che questa volta non mi fece domande ma mi guardò con aria d'intesa.
All'uscita del bar, il pelato provò addirittura a minacciarmi con una spranga, forse per questo gli altri avevano timore di lui.
A calmarlo bastò una rapida occhiata alla mia amichetta sotto la giacca.

Le persone sono le carte che hanno in mano. Io riuscivo a far credere a tutti che stavo giocando con il punto più alto del loro. Il mio sangue di alligatore. Questo è un dono che mi ha dato la vita da un giorno all'altro.
Di quel giorno preciso mi ricordo il rumore della macchinetta radiocomandata. Ero seduto per terra. Avevo cinque anni. Una salopette rossa di velluto, scalzo davanti alla terrazza. La SuperFox della Nikko entrava e usciva dal finestrone saltellando sul bordo delle mattonelle.
Mia madre mi venne dietro, tenendomi le mani sugli occhi e avvicinandosi mi disse:
- ti ricordi quel film che abbiamo visto qualche giorno fa, quello sugli animali dei ghiacci? - ricordo la voce calda e a tratti singhiozzante.
- ti ricordi che la mamma del cucciolo doveva partire per tanto tempo e lasciava il cucciolo col papà? -
Mossi la testa in su e giù, stretta ancora tra le sua mani che ora iniziavano a tremare.
- Vedi cucciolo mio, anche tua madre ora deve partire per tanto tempo, ma vedrai ritornerò come fanno le mamme di quei cuccioli, tornerò piccolo mio, tornerò piccolo mio.-
Ricordo le lacrime calde sui miei capelli neri.
Ricordo che liberai la testa e mi voltai verso di lei.
"mamma non piangere" le avrei voluto dire.
In quel preciso istante scattai la prima foto mentale della mia vita.
Mi voltai per non vederla piangere, la macchinetta radiocomandata si era cappottata e le ruote continuavano a girare nel vuoto.
Le ultime parole che sentii da mia madre furono:
- ciao cucciolo, ciao pinguino mio.

lunedì 10 agosto 2009

LA PARTITA - PARTE TERZA

I primi giri sto buono. Voglio vedere chi sono i miei avversari e se l'idea che mi sono fatto di loro non è sbagliata. L'uomo alla mia destra, ogni volta che il mazziere lo guarda mette le fiches sul tavolo. Sembra un invasato in piena crisi di tremore. Uno di quelli che in gergo viene definito "maniac". Gioca tutte le mani, non molla un colpo e anche quando è certo di aver perso punta i suoi ultimi soldi. Dopo neanche un'ora sarà andato al bancone delle fiches almeno tre volte. A guidare il gioco è il pelato che mi sta di fronte. Ha un consistente gruzzolo davanti a sé, stutto sparpagliato per il panno. Non lo sopporto. Le fiches devono essere sempre sistemate per far vedere agli avversari quanto ti puoi giocare. Che non fosse un giocatore leale l'ho capito subito dopo. Mi era già salita la pulce al naso quando per tre volte di fila aveva chiuso due colori e una scala con le ultime due carte contro il povero maniaco, ma ora ne avevo la certezza. Nell'ultimo giro ho sentito lo schiocco del mazziere. Anche il pelato se n'è accorto che questa volta il rumore era più forte del solito. Quando le dita si stancano, capita che si formino piccoli crampi alle mani e mentre il bastardo dava le carte ho sentito l'indice e il pollice scontrarsi. Questo avviene quando il mazziere cerca di far passare la carta, messa appositamente in fondo, di sopra. Dato per certo che il mazziere e il pelato erano d’accordo decisi di non entrare in nessuna mano fino alla pausa.
Alla pausa mi alzo, seguo il Mazziere che si dirige al bancone. Il pelato, per non dare nell’occhio, rimane fermo al tavolo a contare le fiches.
Mi siedo al bancone vicino al mazziere:
- che vuoi offrirmi da bere per cercare di corrompermi? – dice sorridendomi appena mi siedo e lo guardo in faccia.
Esplodo in una espressione infantile, fingo di parlare con un vecchio amico, annuendo e sorridendo a tempo gli rispondo:
- tu adesso vai dal floorman e gli dici che devi andare a casa perché ti fa male la pancia.
- Cosa? La pancia, ma sei impazzito?- mi risponde cambiando totalmente espressione.
- Rilassati o sarà solo peggio, ho visto il giochetto che hai fatto fino ad ora col tuo amico testa d’uovo, ma ora mi sono stancato, il pollo lo avete ripulito e voglio giocare.
- non so quello che dici io..
Alzo la giacca e gli mostro la mia amica Bobcat infilata nella cintura dei pantaloni.
- Sorridi! – mentre cono un colpetto alla sua spalla fingo di scherzare e divertirmi.
Il riporto di capelli del tipo s’impregna di sudore mostrando quasi completamente la sua testona bianca.
- bravo vedi che stai già cominciando a stare male?
Era bianco come un velo da sposa e grondava sudore a rivoli dalla fronte e dal collo.
Si alzò come uno zombie e si diresse verso il direttore di sala. Il floorman appunto.

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mercoledì 5 agosto 2009

LA PARTITA - PARTE SECONDA

Sono le 23. E' ora di prendere posto al tavolo. Entro nella sala. Mi dirigo al banco per cambiare i soldi con le fiches. C'è una ragazza, mastica gomma americana con la bocca spalancata, ha i capelli piatti e appiccicati al viso. Non avrà neanche venti anni. Le dico "duemila" e le chiedo d'indicarmi il tavolo. Con la lingua rivestita di chewingum punta verso il tavolo a destra poi sorride e mi fa l'occhiolino.
Davanti a me ho uno pelato con la camicia hawaiana e il gilet di pelle, ha Il braccio sinistro di due tonalità più abbronzato del destro, deve essere un camionista. Alla sinistra del mazziere c'è un ragazzo che ascolta L'Ipod e muove la testa freneticamente. Alla mia destra c'è un uomo che cerca di trattenere il tremore alle gambe, è molto magro e pallido, vestito con un largo abito grigio e una cravatta a fiori. Alla mia sinistra il vecchio bastardo di prima. A riempire il tavolo altri due che parlano insieme, sembrano due turisti che si sono persi. Questi Questi giocatori sono studenti, operai e pensionati.
In definitiva, solo "personcine" in cerca di emozioni forti.
Neanche lo sbadiglio di un professionista.
Ad ognuno di essi scatto una foto, l'immortamo mentre sono tranquilli, a parte il tipo alla mia destra, per poi rivederli nelle situazioni dove lo stress è difficile da gestire e se non hai il sangue di un rettile, difficilmente potrai avere la meglio.
Ho trentadue anni. Gioco da quando ne avevo sedici. Gioco perché mia madre se n'è andata con un professionista di poker, lasciandomi solo con mio padre, un povero impiegato di una ditta di vernici, che però, quando si è trovato solo ha abbassato la testa ed ha fatto di tutto per non farmi mancare niente. Non mi è mai mancato niente in effetti, a parte la mia vendetta sul coglione che si è preso mia madre.
Ho sognato d'incrociarlo al tavolo, con lei magari che gli siede al fianco a tifare per lui e poi lo lascia perché io gli porto via tutto.
Questo può essere solo un sogno però. Io mia madre me la ricordo appena, ormai se la incrociassi non riuscirei neanche a riconoscerla. Ma v'immaginate quanto può essere brutto sapere di avere una madre e non poterla neanche riconoscere?
A volte ho avuto addrittura paura che camminando per strada una donna mi si avvicini per dirmi "ciao tesoro, non mi riconosci? sono la mamma.." è terribile.

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lunedì 3 agosto 2009

LA PARTITA

Chi non ha nulla da perdere si riempe il corpo di tatuaggi. Così, come per dire "tanto peggio di così non può andare" oppure "colpiscimi pure, non puoi peggiorare la mia situazione". Tatuaggi, cicatrici, piercing. Sono un pò i segni che contraddistinguono la sofferenza, o meglio, il volerla ostentare.
In certi luoghi di questi artifici non ce n'è alcun bisogno.
Per esempio questo vecchio che da dieci minuti mi rotea davanti alla faccia con la sua testa. Non ha ancora detto una parola ma sorride mentre mi guarda con l'unico occhio aperto, il sinistro, rossissimo e l'altro semi chiuso ma con una leggera fessura dalla quale si può vedere, ogni volta che il vecchio punta il suo muso secco verso la luce, un bianco infinito, un candore d'uovo.
Apre la bocca e lo spettacolo non migliora. Mentre mastica si passa la lingua tra gli ultimi denti rimasti come pochi palazzi semidistrutti ma rimasti in piedi dopo un bombardamento.
Gli scatto una foto, non con la macchina fotografica, ma nella mia testa. Ho sempre avuto questa mania. Mi piace collezionare immagini, di posti, di persone, anche solo una parte del corpo. Gli scatto una foto e la metto nel cervello, come un armadietto, come una scrivania. Quando le “riguardo” sono diventate come le foto che si fanno alle immagini in televisione, un po’ come le opere di artista romano morto d’infarto giovane, una decina di anni prima. Morire d’infarto, non dovrebbe essere un granché.
Stavo comodamente seduto al bancone di un bar di via Settevalli.
Guardavo l’insegna “poker room” sopra la porta davanti al biliardo.
E' un miscuglio di saliva, poltiglia di arachidi e schiuma di birra quella che gli zampilla dalla bocca quando questo maledetto vecchio, si decide di parlarmi.
- ne serve di coraggio per entrare in quella sala.
Non rispondo alla sua domanda, tiro giù un sorso della mia birra e mi passo la mano sulla bocca.
- questa sera poi dicono che verrà il Pinguino a giocare. – continua il vecchio.
- È un buon giocatore? – gli chiedo rompendo il ghiaccio che al tipo però sembrava non interessare.
- Qui non si è mai visto, non lo conosce nessuno, però ha telefonato oggi, ha chiesto informazioni sul gioco ed ha riservato un posto per il cash.
Osservo gli uomini che entrano nella sala. Ci sono molti giovani. Si vestono come i professionisti che vedono in Tv il venerdì sera. Ma sono inesperti, paurosi. Quando vedono due donne il sangue gli comincia a bollire. E appena sul tavolo scende un asso, cominciano a sudare e si maledicono e sperano solo che tu gli rilanci di almeno la metà del piatto per farli scappare di corsa.

CONTINUA