sabato 21 dicembre 2013

Il Genio della battuta.
(Racconto di Natale)

Noemi e Lalu si erano diretti vicino alla stradina. Avrebbero raccolto la neve più soffice e pulita, appena caduta dai cipressi.L'idea venne a Noemi.
Lalu aveva dimenticato i guanti a casa. Non poteva tornare a prenderli, per paura che i suoi non lo facessero uscire di nuovo a giocare con l'amica tra la neve.
Noemi gli diede uno dei suoi. Raccolsero tanta neve fresca e, come una persona sola, la portarono al centro del parcheggio dell'ospedale, dove aveva deciso Noemi.
Il primo mucchio servì a poco. Ne venne una piccola base, piramidale e molliccia. Noemi scuoté la manina, guardando Lalu con le braccia rigide lungo i fianchi e il respiro gelato che gli usciva dalla bocca.
Tornarono ai cipressi, raccolsero ancora un altro mucchio, questa volta più grande. Noemi aveva dato l'altro guanto a Lalu e gli aveva sistemato le braccia per caricare la neve. Lalu guardava verso la stradina. Noemi gli parlava mentre raccoglieva. “Il nostro pupazzo sarà il più bello della città”, “Dobbiamo solo trovare un telefono per fargli una foto”, “non è che i tuoi, anche se sono poveri, te ne regaleranno uno per Natale?”, e continuava, anche se l'amico non le rispondeva. “A me, di certo no, hanno paura dei maniaci. Voglio dire: che ti potrà mai fare un maniaco per telefono, se mi rompe, riattacco. No? Ehi, mi stai a sentire?”.
Il caposquadra alzò lo sguardo e lasciò cadere un bel mucchio di neve. Si avvicinò al sottoposto.
Un corteo di auto stava arrivando, con alla testa due volanti della Polizia per fare strada. Il corteo di grandi auto si fermò. Gli autisti corsero per aprire le portiere posteriori.
Una fiumana scura percorse la stradina per l'ospedale. Quando tutte le persone entrarono dentro l'edificio, due carabinieri sistemarono la bandiera italiana su un'asta, fuori dall'ingresso. Poi entrarono dentro e chiusero le porte.
Stavano andando all'ultimo spettacolo del grande Genio della battuta.
Noemi diede una spallata a Lalu e gli disse: “Accipicchia che musi. Finiamo il nostro pupazzo prima di pranzo, sbrighiamoci”.
Il Genio aveva iniziato due anni prima. La prima battuta la scrisse per la morte di un anziano politico in pensione, poi se la prese con il Governo, la mafia e tutte le altre istituzioni (sì, pure la mafia). Riscosse un successo inimmaginabile. Ogni notizia che usciva sui giornali, riportava il fatto e subito dopo la versione satirica del Genio.
La RAI gli aveva affidato la conduzione di un programma e ben presto divenne la trasmissione più seguita in Italia.
Finché, un anno fa, dopo dieci minuti di diretta, il Genio allargò le braccia, chiedendo silenzio. Abbassò la testa, mise l'indice alle labbra e disse: “Ho creato la battuta perfetta, la migliore battuta mai scritta”. Gli spettatori impazzirono, si alzarono in piedi come dopo un goal ai Mondiali. “Ma ve la dirò solo al mio ultimo giorno di vita”. Gli spettatori spalancarono gli occhi. “Ora basta. Sipario”, concluse il Genio.
Fortunatamente il Genio si ammalò gravemente. Su suo incarico, i dottori dell'ospedale dove era in cura contattarono le persone da invitare al suo ultimo spettacolo. Quello in cui avrebbe rivelato la “battuta perfetta, la migliore battuta mai scritta”.
Sistemarono la sala congressi con al centro il Genio steso sul suo lettino.
Come da sue ultime volontà, il Genio avrebbe raccontato la “battuta perfetta, la migliore battuta mai scritta” al Presidente della Repubblica, questi poi avrebbe avuto il gravoso incarico di riferirla ai presenti e in diretta TV a tutti gli italiani ansiosi e desiderosi di gioia.
Il Genio mosse il braccio destro. Era il segnale. Il Presidente si alzò dalla sua poltroncina e gli si avvicinò. Il Genio mosse le labbra. Il Presidente chinò il capo, per avvicinarlo alla bocca del Genio.
Il Genio mosse rapidamente le labbra, poi sorrise, tossì e chiuse la bocca. Per sempre.
Il Presidente si drizzò di scatto. I suoi occhi divennero piccoli, dietro le lenti degli occhiali.
Unì l'indice e il pollice e, balzellando sulle punte dei piedi, con voce solenne disse: “Non sono riuscito a capire un cazzo!”.
Alle persone presenti e a tutti gli italiani in diretta, fu come se avessero strappato l'anima dal corpo. Sentirono un forte bisogno d'aria. I presenti al capezzale del Genio andarono verso le finestre, quasi simultaneamente, come richiamati. Lasciarono lì il presidente e il corpo del Genio.

Fiocchi di neve stavano cominciando a scendere da un cielo d'asfalto. Nel parcheggio due bambini terminavano uno pupazzo di neve. Il più piccolo, con un dito, stava disegnando il sorriso.