...
Capitolo 22
I ragazzini se ne erano andati portandosi via anche il verginello imbranato e la sua ragazzetta che era rimasta incastrata in mezzo alla siepe.
Lasciarono i due fratelli lì, nudi a terra, con Vanessa, novella Madonna della Pietà, che reggeva Filippo colpito al petto dal cranio semi glabro del giovane guerriero.
- Svegliati Filippo, se ne sono andati, ho freddo e ho paura, voglio tornare a casa.
- Monica è pronto il caffè? – Le rispose Filippo ancora nel Nirvana.
- Sono io Vanessa. Siamo al parco del Tevere. Un gruppo di ragazzini ci ha aggredito. Riprenditi Filippo non ce la faccio più! – Piagnucolava Vanessa.
Stava per desistere quando il fratello riprese coscienza. Filippo si alzò di scatto, succhiando avida-mente aria e farfugliando una frase di poco senso: “Non sei pelato, non sei pelato!”.
La frase, inconsciamente pronunciata, era il frutto di un onirico viaggio che lo vedeva protagonista, suo malgrado, di un’impietosa scena: il ragazzone che lo aveva colpito con la testata che stava saltellando sulla pancia e lo prendeva in giro sulla pochezza del suo apparato riproduttore.
Vanessa, anche lei nuda e infreddolita, si era rannicchiata a terra. Filippo, al contrario, si era messo in piedi e camminava nervosamente parlando ad alta voce.
- Domani in ufficio lo faccio impazzire quel verme di Croci.
Aveva il morale ai minimi storici e con qualcuno se la doveva prendere.
- Ma lascialo perdere, pensa piuttosto ad un modo per tornare a casa – Vanessa gli fece notare che non avevano più telefonini e abiti e di conseguenza anche le chiavi della Jeep.
Filippo guardò attorno. Il cielo era terso e pieno di stelle, sembrava la corsia di fronte del raccordo anulare di notte. Il parco del Tevere ormai era semi deserto. Si grattò il mento e ruotò lo sguardo. Riuscì a vedere dall’altra parte del parco, quella vicino al fiume, un uomo seduto su di una panchina di ferro che stava parlando al telefono. Fece segno alla sorella di seguirlo in silenzio.
Col passo del leopardo si posizionarono dietro la panchina e stavano ascoltando la conversazione dell’uomo. Il tipo era un extracomunitario. Filippo studiò il piano. Lo rivelò a Vanessa:
- Mentre parla tu gli vai davanti e lo distrai, quando si stacca il cellulare dall’orecchio glielo prendo e scappiamo.
- Sei un povero pazzo! – rispose la sorella giustamente impaurita dalle probabili reazioni dell’uomo. – Non ho alcuna intenzione di andare davanti alla faccia di questo marocchino completamente nuda.
- Va bene va bene, devo fare tutto io, come sempre - sbottò Filippo scuotendo la testa.
- Sì nonno, ho appeso le ossa di topo davanti alla porta - disse, con gli occhi al cielo, il giovane stra-niero seduto sulla pachina.
Si chiamava Winston Bluebell, veniva da un’isola dei carabi. Suo nonno, lo stregone del paese, era considerato una specie di santone, un guaritore. Winston lo considerava solo uno sgozzagalline. Se n’era andato dall’isola per non fare la sua stessa fine: ballare attorno a cerchi di fuoco per scacciare i demoni dal corpo delle trippone incinte.
In Italia cercava la tranquillità, una vita da telefilm americano, un lavoretto, un gruppo d’amici con cui bere la sera e una ragazza. Un’italiana. Una ragazza magra, con un po’ di grilli per la testa, che lo te-nesse sempre attivo, piena d’interessi, una come quelle dei film di Woody Allen.
Filippo si alzò in piedi e andò davanti a Winston.
- Mi dia il telefono per favore.
Alla vista dell’uomo bianco nudo davanti a sé, il giovane straniero mulatto rimase con le labbra pendule e lo sguardo incredulo. Si ricordò, in quel preciso istante uno degli insegnamenti di suo nonno: "Cigouaves", il demone con il pene a verruca.
- Nonno, nonno, avevi ragione c’è Cigouaves, aiutami che devo fare?
- Cigouaves? È nudo e quasi senza pene?
- Sì nonno è lui!
- Grande Obatala! Prendi sei occhi di pipistrello, buttali a terra calpestali e recita il Botswa.
- Nonno non ce li ho gli occhi di pipistrello!
- Come fai ad uscire la sera senza gli occhi di pipistrello?
- Aiutami svelto che vuole da me? – Il giovane si era rannicchiato sulla panchina mentre il demone si stava avvicinando.
- Vuole il tuo pene per darlo alla sua compagna, lì vicino ci dovrebbe essere anche un altro demone dalle sembianze femminili.
Winston girò la testa e vide accovacciata dietro la panchina la compagna del demone anch’essa nu-da.
- C’è! c’è! è dietro di me. – Gridò il giovane al nonno.
- Vuole mangiartelo, devi inserirlo dentro di lei e pregare con la faccia rivolta verso un albero o lui te lo taglierà, fai presto e la prossima volta portati dietro gli occhi di pipistrello.
Winston si alzò di scatto, lasciò cadere il telefono cellulare, abbassò i pantaloni e gli slip e con uno slancio saltò dietro la panchina agguantando Vanessa.
- Ehi ma che vuoi? Che hai intenzione di fare con quel pitone? Non penserai di … aiuto Filippo que-sto mi violenta! – Vanessa a terra, con il collo bloccato dalla mano di Winston e le gambe divaricate, chiese aiuto al fratello che la degnò solo di una rapida occhiata, fece spallucce, raccattò il telefono da terra e compose il numero di casa sua.
- Monica, sono io. Vienimi a prendere, sono al parco del Tevere. Veloce!
- Ma, hai avuto un incidente, stai bene? – chiese la moglie preoccupata.
- Muoviti! – e riattaccò.
Dopo circa dieci minuti l’auto di Monica si fermò davanti all’ingresso del parco. Mentre la donna si passava il rossetto sulle labbra sentì aprire la portiera posteriore della sua auto e vide due figure entrare.
Erano Filippo e Vanessa. Completamente nudi. Monica non fu in grado di una minima reazione, spalancò solo gli occhi e diede una rapida occhiata dietro poi voltò lo sguardo in avanti.
- Ti vuoi muovere che sto congelando? – le disse il marito.
- Ti vuoi svegliare? Metti in moto sto carcassone e andiamo! – aggiunse Vanessa.
Monica non fu in grado di reagire.
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Capitolo 22
I ragazzini se ne erano andati portandosi via anche il verginello imbranato e la sua ragazzetta che era rimasta incastrata in mezzo alla siepe.
Lasciarono i due fratelli lì, nudi a terra, con Vanessa, novella Madonna della Pietà, che reggeva Filippo colpito al petto dal cranio semi glabro del giovane guerriero.
- Svegliati Filippo, se ne sono andati, ho freddo e ho paura, voglio tornare a casa.
- Monica è pronto il caffè? – Le rispose Filippo ancora nel Nirvana.
- Sono io Vanessa. Siamo al parco del Tevere. Un gruppo di ragazzini ci ha aggredito. Riprenditi Filippo non ce la faccio più! – Piagnucolava Vanessa.
Stava per desistere quando il fratello riprese coscienza. Filippo si alzò di scatto, succhiando avida-mente aria e farfugliando una frase di poco senso: “Non sei pelato, non sei pelato!”.
La frase, inconsciamente pronunciata, era il frutto di un onirico viaggio che lo vedeva protagonista, suo malgrado, di un’impietosa scena: il ragazzone che lo aveva colpito con la testata che stava saltellando sulla pancia e lo prendeva in giro sulla pochezza del suo apparato riproduttore.
Vanessa, anche lei nuda e infreddolita, si era rannicchiata a terra. Filippo, al contrario, si era messo in piedi e camminava nervosamente parlando ad alta voce.
- Domani in ufficio lo faccio impazzire quel verme di Croci.
Aveva il morale ai minimi storici e con qualcuno se la doveva prendere.
- Ma lascialo perdere, pensa piuttosto ad un modo per tornare a casa – Vanessa gli fece notare che non avevano più telefonini e abiti e di conseguenza anche le chiavi della Jeep.
Filippo guardò attorno. Il cielo era terso e pieno di stelle, sembrava la corsia di fronte del raccordo anulare di notte. Il parco del Tevere ormai era semi deserto. Si grattò il mento e ruotò lo sguardo. Riuscì a vedere dall’altra parte del parco, quella vicino al fiume, un uomo seduto su di una panchina di ferro che stava parlando al telefono. Fece segno alla sorella di seguirlo in silenzio.
Col passo del leopardo si posizionarono dietro la panchina e stavano ascoltando la conversazione dell’uomo. Il tipo era un extracomunitario. Filippo studiò il piano. Lo rivelò a Vanessa:
- Mentre parla tu gli vai davanti e lo distrai, quando si stacca il cellulare dall’orecchio glielo prendo e scappiamo.
- Sei un povero pazzo! – rispose la sorella giustamente impaurita dalle probabili reazioni dell’uomo. – Non ho alcuna intenzione di andare davanti alla faccia di questo marocchino completamente nuda.
- Va bene va bene, devo fare tutto io, come sempre - sbottò Filippo scuotendo la testa.
- Sì nonno, ho appeso le ossa di topo davanti alla porta - disse, con gli occhi al cielo, il giovane stra-niero seduto sulla pachina.
Si chiamava Winston Bluebell, veniva da un’isola dei carabi. Suo nonno, lo stregone del paese, era considerato una specie di santone, un guaritore. Winston lo considerava solo uno sgozzagalline. Se n’era andato dall’isola per non fare la sua stessa fine: ballare attorno a cerchi di fuoco per scacciare i demoni dal corpo delle trippone incinte.
In Italia cercava la tranquillità, una vita da telefilm americano, un lavoretto, un gruppo d’amici con cui bere la sera e una ragazza. Un’italiana. Una ragazza magra, con un po’ di grilli per la testa, che lo te-nesse sempre attivo, piena d’interessi, una come quelle dei film di Woody Allen.
Filippo si alzò in piedi e andò davanti a Winston.
- Mi dia il telefono per favore.
Alla vista dell’uomo bianco nudo davanti a sé, il giovane straniero mulatto rimase con le labbra pendule e lo sguardo incredulo. Si ricordò, in quel preciso istante uno degli insegnamenti di suo nonno: "Cigouaves", il demone con il pene a verruca.
- Nonno, nonno, avevi ragione c’è Cigouaves, aiutami che devo fare?
- Cigouaves? È nudo e quasi senza pene?
- Sì nonno è lui!
- Grande Obatala! Prendi sei occhi di pipistrello, buttali a terra calpestali e recita il Botswa.
- Nonno non ce li ho gli occhi di pipistrello!
- Come fai ad uscire la sera senza gli occhi di pipistrello?
- Aiutami svelto che vuole da me? – Il giovane si era rannicchiato sulla panchina mentre il demone si stava avvicinando.
- Vuole il tuo pene per darlo alla sua compagna, lì vicino ci dovrebbe essere anche un altro demone dalle sembianze femminili.
Winston girò la testa e vide accovacciata dietro la panchina la compagna del demone anch’essa nu-da.
- C’è! c’è! è dietro di me. – Gridò il giovane al nonno.
- Vuole mangiartelo, devi inserirlo dentro di lei e pregare con la faccia rivolta verso un albero o lui te lo taglierà, fai presto e la prossima volta portati dietro gli occhi di pipistrello.
Winston si alzò di scatto, lasciò cadere il telefono cellulare, abbassò i pantaloni e gli slip e con uno slancio saltò dietro la panchina agguantando Vanessa.
- Ehi ma che vuoi? Che hai intenzione di fare con quel pitone? Non penserai di … aiuto Filippo que-sto mi violenta! – Vanessa a terra, con il collo bloccato dalla mano di Winston e le gambe divaricate, chiese aiuto al fratello che la degnò solo di una rapida occhiata, fece spallucce, raccattò il telefono da terra e compose il numero di casa sua.
- Monica, sono io. Vienimi a prendere, sono al parco del Tevere. Veloce!
- Ma, hai avuto un incidente, stai bene? – chiese la moglie preoccupata.
- Muoviti! – e riattaccò.
Dopo circa dieci minuti l’auto di Monica si fermò davanti all’ingresso del parco. Mentre la donna si passava il rossetto sulle labbra sentì aprire la portiera posteriore della sua auto e vide due figure entrare.
Erano Filippo e Vanessa. Completamente nudi. Monica non fu in grado di una minima reazione, spalancò solo gli occhi e diede una rapida occhiata dietro poi voltò lo sguardo in avanti.
- Ti vuoi muovere che sto congelando? – le disse il marito.
- Ti vuoi svegliare? Metti in moto sto carcassone e andiamo! – aggiunse Vanessa.
Monica non fu in grado di reagire.
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