venerdì 5 dicembre 2008

lo stato

Lo stato non siamo noi
noi siamo i bambini spettinati
con le dita nel naso
lo stato è una poltrona di pelle,
gemelli d’oro ai polsi.
Lo stato è un sigaro
noi siamo gli incidenti stradali
l’influenza
le file agli sportelli
lo stato è Mangiafuoco
noi gli abbecedari
i morti delle stragi
lo stato è cemento e antenne
noi siamo belli come
pietre bianche su colline verdi
inutili come lupi ammaestrati.

venerdì 28 novembre 2008

mercoledì 26 novembre 2008

un urlo all'improvviso

stanotte ho sentito urlare
e sono uscito di casa
ho visto che piovevano
dal cielo i sogni miei

per strada c’era un bambino
che giocava e vicino a lui
un mago indaffarato
accendeva le candele blu

mi ha dato una candela
e mi ha detto “soffia forte”
vedrai che questa notte
non finirà mai più

ho attraversato il muro
che divide la realtà
ci ho lasciato un sassolino
per ricordarmi che senso ha

ma un colpo di cannone
ha distrutto la città
le case i muri e i sogni
sono crollati giù

anche il mio sassolino
è finito dentro al fiume
lo cerco di continuo
ma non lo ritrovo più
"

lunedì 24 novembre 2008

bozza 4 capitolo

X MARIA LUISA, SARA, ALDO E GIOVANNI
ciao amici, leggete per favore e fatemi sapere cosa ne pensate.
baci e abbracci
Mauro

.....
Il Pulce mi passò a prendere alle dieci.
- stasera festeggiamo il tuo compleanno ti porto in un posticino che vedrai ti piacerà.
Mi disse che era una sala da ballo e già mi vedevo una pista piena di rincoglioniti zampettanti, con i capelli come la coda dei fagiani, le camicie dalle cromie chiassose e donne mature e abbronzate traboccanti dalla voglia di tradire i mariti.
- una balera del cazzo? - feci al Pulce.
- diciamo più che altro l’università del ballo - mi rispose ridendo.
Il Pulce si fermò ad ogni bar che trovammo lungo la strada, per i primi tre lo assecondai, poi rimasi in auto con la testa che mi dondolava avanti e dietro per la vodka, il cuba libre e il gin tonic. Lui continuò ad entrare ed uscire dai bar che costeggiavano la provinciale, piazzati come torrioni all’entrate delle frazioni che stavamo attraversando per arrivare alla nostra destinazione.
Frazioni, paeselli, cumuli di case, dai nomi come le facce dei loro abitanti: Trecase, Case nuove, case Bruciate. Dall’ultimo bar uscì con una bottiglia di limoncello che stava sorseggiando prima di entrare in auto, me l’appoggiò tra le gambe, mi guardò con gli occhi rossi come uno che aveva pianto per un’ora.
- vamos a bailar – ed entrò faticosamente in auto spingendosi in avanti con il suo pancione.
Arriviamo in questo posto girando per l’insegna di un hotel a tre stelle il Duca, entriamo nel parcheggio dell’hotel e proseguiamo ancora fino al retro. Il Club del Duca. Aveva l’entrata come un ristorante di pesce lungomare nel periodo fuori stagione. Passiamo in mezzo alle cassette di plastica per l’acqua, scendendo due rampe di scale, ci troviamo di fronte ad una porta a vetri scura. Entriamo. Un’altra porta di vetro e davanti ad un tavolo con un computer un uomo con un abito scuro. Il tipo doveva sembrare come uno di quei gorilla che stanno alle porte dei club, quegli scimmioni col naso da pugile, il cranio rasato e i muscoli che gonfiano camice di raso nero legate sul collo con cravatte dai colori accesi. Era però incredibilmente basso, al punto di sparire, quando si metteva dietro al computer.
- Buona sera signore - disse al Pulce il nanetto.
- ciao bello, – rispose con una pacca sulla spalla sinistra del tipo e la sigaretta tra le labbra.
Aveva fretta, voleva entrare, voleva ballare, strano perché proprio non mi ricordavo che gli piacesse ballare, anzi.
Il Pulce, ridendo, gli diede un buffetto, lo cinse alle spalle con il braccio destro e mi indicò,
- lo sai Manuel chi è questo ragazzo?
- me lo ricordi signor Buffi
- lui è il signor Bottarga, il figlio dell’industriale del tonno.
Era nel suo stile, fingere di avere amici importanti, industriali, consulenti della new economy, non diceva mai di conoscere il Micio, il Polacco e tutta l’allegra marmaglia del nostro bar.
- benissimo, allora immagino non ci sarà bisogno della registrazione. – rispose il piccolo gorilla
- Ecco bravo.
Il Pulce era entrato, superando l’ultima porta di vetro con un paio di passi di mazurca.
Prima di entrare Manuel mi ostacolò mettendomi una mano sul petto
- Signor Bottarga o chi cazzo sei, se fate qualche casino vi spacco le gambe.

Il locale era molto piccolo, davanti a noi un corridoio con a destra il bancone del bar dove stavano appoggiati un paio di uomini e sulla sinistra una saletta con quattro poltroncine sistemate davanti al bagno. Qualche metro più avanti una pista quadrata, con le piastrelle di vetro, dove stava ballando un ometto con i pantaloni grigi, gli occhialini da vista con le lenti scure e la giacca blu con una patacca da marinaio, avvinghiata a lui una stangona mora che lo applaudiva ad ogni sua piroetta.
- Prendi da bere e aspetta sulle poltroncine davanti al bar.
Mi sedetti con il mano il cuba libre quando una ragazza vestita di un abitino corto grigio e pieno di luccichini, mi venne a sedere vicino.
- ciao, il tuo amico mi manda per te
doveva essere la mia insegnate di ballo, ma con quei tacchi a spillo la cosa mi parve alquanto bizzarra.
- ah sì, lui pensa che debba avere bisogno di qualche lezione, io gli ho detto che non m’interessa particolarmente ma lui ha insistito.
Prese il mio rhum e cola appoggiò le labbra al bicchiere e tirò fuori la lingua e mi guardo dritta coi suoi occhi che sembravano due praline al cioccolato.
- Bhe è un buon amico se ti fa questo regalo, a te non piacciono le belle ragazze?
Cazzo tutto stava filando, altro che lezioni di ballo, il Pulce mi aveva portato al night.
L’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era chiacchierare del più e del meno con una che non gliene fregava niente di me, ma solo delle consumazioni che le offrivo. Quindi le ricambiai lo sguardo, le sorrisi e le dissi che ero senza soldi.
- Ti dico le cose come stanno, al massimo posso offrirti una sigaretta.
- Non hai capito, il tuo amico ha pagato per tutto.
- Per tutto cosa? - Gli chiesi stupito.
- Esci, sali in hotel e chiedi al portiere la chiave della camera 26.-
Mi disse, prima di alzarsi e camminare verso la porta in fondo al corridoio. La osservai scivolare attraverso i corpi dei clienti, che si voltavano a lasciare gli occhi e diversi sogni appiccicati alle chiappe del suo sedere perfetto, mentre lei, leggera come una ninfa che cammina sull’acqua, non si curava di loro, ma andava dritta e sicura verso la nostra camera, la 26.
Il puzzle si stava componendo, prendete un night, belle ragazze, vecchi a volontà e aggiungeteci il Pulce, ecco il risultato: un bordello.
Non potevo però rifiutare il suo regalo, avrei rischiato di essere deriso per tutta la vita se non addirittura cacciato a calci nel culo dal bar.
Decisi di andare a vedere, in fondo avevo troppo bisogno di svago e una scopata con una cavalla da monta del genere mi avrebbe sicuramente fatto bene.
- fai il bravo con Lina, o ti rompo il culo - mi minacciò di nuovo quel miniessere del gorilla nano. Cominciava proprio a starmi nelle palle.
- limitati al buongiorno e buonasera piccoletto –
Avete presente l’uomo da se milioni di dollari? La forza di questo minuscolo scherzo della natura ne doveva valere almeno dodici. Mi prese con le mani sulle spalle e mi sbatté al muro, tenendomi su. In quella condizione, con i piedi ciondolanti le braccia bloccate e il grugno del buttafuori davanti alla faccia, avevo solo voglia di dirgli che ero un poliziotto in borghese che indagava su un traffico di stupefacenti e che lui era un amico e anzi, gli sarei stato grato se mi avesse aiutato nelle indagini ed io in cambio lo avrei proposto per un riconoscimento pubblico.
Ma non potevo, ormai per lui ero tale Bottarga, figlio di qualche industrialotto del tonno e lui doveva proprio odiarlo il tonno, forse per colpa di diete da palestra troppo rigide che ti privano di sugose bistecche con il grasso croccante e di piatti a non finire di patate fritte. No, il tonno non fu una buona scelta, ci doveva pensare il Pulce che lui non lo avrebbe digerito.
- che numero di camera ti ha detto Lina?
- la 26
- adesso ti accompagno io, e farò di più, starò fuori dalla porta, così invece di spassartela serenamente, penserai a me che ti aspetto per suonartele.
Si fece dare lui la chiave della camera dal portiere e mi strattonò per un braccio fino alla camera.
- se le dici che sono qui fuori per te sono guai
Mi aprì la porta e mi spinse dentro con forza.
......

venerdì 21 novembre 2008

Sul carso

Ascolto
nelle grondaie piene di vento
una voce
che a volte sembra lamento
dopo un ora di viaggio in carro
tra il grano e le cicale
preferisco lo sbadiglio di questo cane
che parla coi suoi occhi e pare dire
- fermati un istante prima di morire –

il ricordo
è negli scarponi di chi viaggia
solo con un paio di mani vuote
come la luce della luna
in questa campagna desolata
piene di questo fucile
che non può dormire

la polvere che secca le pupille
il vento che la tira addosso
sembra spingerci più dietro
sembra tirarci via dal male
di questa collina da superare
di questa notte che vuole finire.

a mio nonno

martedì 18 novembre 2008

Tania

Ero soprapensiero, feci solo correre le dita sulla tastiera. Lo sguardo fissava il vuoto in un punto indefinito. Ogni tanto col pollice toccavo la barra spaziatrice. Non mi ricordo quando cominciai, fu per curiosità dopo aver visto un Dvd che parlava di certi fenomeni paranormali. Il film non era un granché, però l'argomento era interessante. Uno di quelli da provare subito. Quindi cominciai a battere i tasti senza guardare quello che stavo scrivendo, intervallando ogni tanto, il flusso di lettere, col pollice sulla barra spaziatrice. Potete facilmente provare anche voi.
Allora un esempio:
skoneoiM cajròelk vpixsl sjuktao dnaek laldawnin o jml ilwlolòeà adsspaallòaltkoj.

Chiaramente non è quello che scrissi quel giorno, non me lo potrei ricordare, mi ricordo invece quello che venne fuori dalla scrematura che feci.
"Sono Tania, vissuta a Donesk, vengo sempre con te."
Difficile da credersi, lo immagino, infatti ad una prima lettura i caratteri sembravano solo indecifrabili, poi..
Ho cominciato a guardare meglio e copiando e incollando un carattere sì e uno no, veniva fuori quella frase precisa.
Altre volte ho scritto ed altre volte ho avuto risposta. Non ho mai chiesto a Tania del futuro perché lei mi ha detto che conosce solo il passato e il presente.
Non sa perché mi deve stare vicina, sente di doverlo fare e basta.
Una volta mi ha detto il suo cognome, ho cercato su internet e c'era una foto di una bambina con i capelli biondi, legati dietro la testa da due trecce. Lo sguardo, un po' spaventato e fisso verso l'obiettivo. Sotto la foto due date, una di nascita e l'altra di morte.
L'altra sera c'era il temporale, un tuono mi ha svegliato. Sono andato a chiudere la finestra ed ho visto la luce del monitor in salotto. Sono andato per spegnere il computer e nella pagina di word c'erano ancora caratteri. Li ho tradotti, come avevo imparato: "ciao, devo andare, è il momento", dissi: "non lasciarmi solo!", poi scrissi sulla tastiera per ricevere risposta da Tania. Scrissi la frase che ho riportato in alto come esempio.

martedì 11 novembre 2008

Così forte

Mai arrivò così forte
a battere il petto
e mi sembrò che il tempo
non fosse più tempo.
Sentivo solo fischiare il treno a nord
come sempre,
imperturbabilmente,
come la morte
o la certezza di un bacio
dopo il sì detto di cuore.
Vorrei invitarti
a litigare le parole dentro di me,
vedrai cosa uscirà da questo strano uomo.
Prenderanno il volo i monosillabi,
sbocceranno onomatopeici “come?”
dai profumi primaverili.
E dagli eterei incontri
delle api e fiori
ci verrà vicino l’insegnamento
per durare un giorno dopo l’altro
così forte ancora.

lunedì 10 novembre 2008

Uccello Libero

Una volta sapevo volare
in stormo, col gruppo
vedevo gli altri dall’alto
piccoli e inutili,
diventava tutto un solo pensiero
inutile il mondo,
c’era solo l’entusiasmo del volo

poi sono caduto
mi sono perduto
mi sono fermato
mi sono tagliato le ali
per la paura di cadere di nuovo

li vedo spesso passare
come ombre felici
a volte li inseguo
con le braccia spiegate
correndo sul campo di grano

a volte salgo sul pero,
Marco mi vede e saluta
le mie piume tremano ancora
pensando a quella vita
di evoluzioni nel cielo.

giovedì 30 ottobre 2008

Svegliati

Toc toc!
hai voglia di fuggire?
vieni.

lo vuoi vedere il mondo?
camminerai
insieme alle nuvole
nei loro viaggi sopra il mare

lasciati dietro le parole
appendile all'albero di limoni
si bruciano da sole,
il fumo che ne sale
ti avrebbe chiuso gli occhi
un'altra volta

fumati un ricordo dopo l'altro
è una necessità
che passa presto
dopo che sarai impazzito capirai
ancora no, non è il momento

svegliati,
è ora di morire
ferma le tue mani ansiose
vedrai non sarà niente
di più di un bicchiere di vino
o fare l'amore

vieni
in questo piccolo luogo
d'insetti felici,
perché ti chiedi sempre
come sarebbe
la tua vita senza te?

lunedì 27 ottobre 2008

Chiuso per lutto

Si spezzano i miei occhi
mentre ghermisco col pianto
il cielo ad un passo da te

il mondo in toni di grigi
si sfuma sul tuo collo
chiuso e stretto di fiato

il peso dell’aria tagliata con il veleno
è come un addio,
- forse domani saremo un arrivederci -

ti voglio bene capelli di fieno
mentre alzi le mani e ruoti sul mondo,
se cadi, alzati da tappeto umano di terra
e galleggia nel poco, tra le fate del bosco.

C’è scritto “chiuso per lutto”
a casa del vecchio becchino
perché ti ha visto saltare di nuovo,

sorgi e splendi ogni volta che un fiore
apre i suoi occhi al mondo,
ti appoggio le labbra alla guancia
e ti accarezzo la fronte

addio.

mercoledì 22 ottobre 2008

Niente bene

Lo so che non va bene niente
lo sento sbucciando questo frutto
ne esce l’umido, mi bagna il collo

le voci della piazza sono
una canzone senza guida, manca
un direttore che conosca il tempo

dio come vorrei che fosse
alba quello che vedo fuori, non
il tramonto che sento dentro

ho mani stupide e poca voglia
di ascoltare ma oggi tengo
fermo sulla bocca questo

sorriso rivoluzionario
è caldo e fa tremare
e nessuno me lo porterà via.

lunedì 20 ottobre 2008

Incipit

Non so dire se fosse giorno o notte, mattina o pomeriggio, stavo solo aprendo gli occhi, lentamente.
Non era come uno dei tanti risvegli, le palpebre faticavano molto ad aprirsi, le orecchie ovattate e con un ronzio fastidioso che si dibatteva rapidamente .
Poi iniziarono le voci.
- na ..nana ..nana na nana-
- ..sta! .i ...lenzio!-
- cre..a! -
Fino a diventare sempre più nitide.
- mi hai rotto i coglioni! -
- falla finita -
- na ..nana ..nana na nana -
Riuscii ad aprire gli occhi.
Ero in una stanza d'ospedale, lo capii dalla flebo attaccata al braccio del vecchio steso sul letto di fronte al mio, che agitava un rotolo di carta igienica, come un giocatore di pallanuoto, contro il suo vicino, un tipo immobile con gli occhi sbarrati, le braccia rigide e distese e la bocca semiaperta.
Alla fine arrivò il dolore.
Mi prese dallo stomaco, una sensazione di rimescolamento poi mi parve di avere gli organi interni di gelatina che fluttuavano all'interno del mio corpo sbattendo contro le mie ossa fatte di rovi per procurarmi un dolore quasi ritmato, incessante, per poi trasferirsi alla testa, con martellate sulle tempie, e chiodi sulla fronte.
Non mi ricordavo niente, o quantomeno non sapevo quanto fosse vero di ciò che mi ricordavo.
Ad aiutarmi ci pensò il vecchio.
- ti sei svegliato drogato di merda?-
Uno dei ricordi riaffiorò.

giovedì 16 ottobre 2008

Lievi sull'acqua dorata




Questi pensieri
sono gabbiani in campagna
drogati da un vento bugiardo
galleggiano
lievi sull'acqua dorata
e si posano tristi
sulla collina
muti
in cordoglio del mare.

martedì 14 ottobre 2008

Chiudi gli occhi

Ragioneria 7, Matematica 6, Tecnica Commerciale 8, Inglese 8, Francese 6, Condotta 9, Diritto 7, Finanze 7, Italiano 5…non è possibile! in 3 anni di superiori non ero mai stato rimandato in nessuna materia, addirittura le materie letterarie erano le mie preferite, e adesso questo supplente, arrivato dopo il primo semestre, senza mai interrogarmi, mi rimanda a settembre. Professor Santi, Agostino, eccolo il nome del pagliaccio! Aveva sostituito la professoressa Belli dopo che era andata in maternità. Ricordo perfettamente il suo primo giorno, entrò in classe nel silenzio più profondo e si mise a guardare fuori dalla finestra, fumando una sigaretta. Martina Reali, la secchiona, gli fece subito notare che in classe non si poteva fumare, mentre Morelli cercava di aspirare il fumo che non usciva all’esterno. Il Professore la guardò un attimo e si voltò di nuovo verso la finestra, per continuare le sue boccate. Dopo 5 minuti, il silenzio si trasformò in lieve brusio, poi in chiasso, con i primi pezzetti di carta che volavano e infine la baraonda con studenti che si rincorrevano tra i banchi, altri che telefonavano con il cellulare e facevano le foto al professore e le inviavano come mms agli amici, altri che lo prendevano in giro e lo chiamavano “A Celentano!”. Dopo che ebbe buttato la sigaretta, tra il disgusto della Reali e lo sdegno del Morelli, per l’occasione persa di aspirare un po’ di tabacco, il professore si voltò verso la classe “Un uomo è sé stesso nella certezza di non essere mai scoperto”. “Voi senza controllo avete dimostrato ciò che siete, io non voglio controllarvi, voglio che siate sempre voi stessi”. Rocchi dall’ultimo banco si alzò in piedi e gridò: “Sì!”. Il professore prese un libro e iniziò la lezione. Mi decisi di andare a parlare con lui, chiedendo spiegazioni perché, di tutta quella classe di animali, che non aprivano mai i libri, avesse rimandato solo me. Andai in sala professori per cercarlo e chiesi informazioni alla signorina Lorenzi la prof. di Steno. Lei era una donna sulla quarantina, con i capelli lisci e biondi a caschetto, gli occhi chiari e le labbra sottili e ben curate, adoravo le sue mani, quando tenevano tra le dita il gesso e scriveva i suoi geroglifici alla lavagna. Non ho mai capito niente di Steno, ma adoravo la sua ora di lezione e alla fine di essa, quando se ne era andata, andavo alla cattedra ad annusare il profumo che aveva lasciato sulla sedia. Il professore di Calcolo le faceva sempre battute insopportabili che mi facevano rabbrividire, era uno che piaceva a tutte le altre insegnanti, ma a lei no, lei non lo degnava. Il professore di Calcolo era un idiota. “Mi scusi signorina ha visto il professor Santi oggi?” “No Fanti, non ho visto Agostino” e sospirò, quel sospiro, i suoi occhi mentre le pronunciavo quel nome, erano uguali a tutte le volte che i due si incrociavano quando lui usciva dalla mia classe e quando lei entrava, il sabato tra la 4 e la 5 ora. Lei lo amava, e io lo odiavo ancora di più. Le chiesi se sapeva dove abitasse e lei mi disse che viveva in una casa appena fuori le mura della città, vicino al Tevere davanti al bar del mattatoio. Ingoiai saliva per quanto fu precisa, e arrossii. Scesi dal motorino, vidi la sua auto, una vecchia Lancia tutta scassata, parcheggiata sotto quella che doveva essere la sua casa. La porta era aperta, suonai il campanello, attesi, ma non ricevetti risposta, decisi di entrare, udii il suono di una chitarra, percorsi il corridoio superando la sala da pranzo e la cucina disposte dai lati opposti dello stesso, arrivai ad un’altra sala dove di spalle c’era un uomo che suonava, era il professore con gli occhi chiusi, ad ogni accordo si succhiava le labbra come se provasse realmente piacere, sul tavolo un foglio con un testo pieno di correzioni, una sigaretta incenerita ancora fumante e un bicchiere di vino rosso accanto alla bottiglia mezza vuota. Il professore si accorse di me dopo alcuni minuti, quando smise di suonare e riaprì gli occhi, non fu sorpreso di vedermi, anzi mi disse: “ti stavo aspettando” e mi sorrise, gli feci una smorfia con gli occhi quasi di rimprovero e gli chiesi solo “Perché?”. Si alzò dalla poltrona, mi chiese “hai mai visto Cuba?” “sono giovane, non ci sono mai stato”, risposi, “Non ci hai mai guardato” disse lui, “Ci sono posti in cui non andremo mai, ma non per questo non possiamo vederli, tu non dovevi andare in quella scuola, sei portato per le materie letterarie, non saresti felice dietro una scrivania, comunque da domattina iniziamo le lezioni, vieni qui alle 7”. Risalii sul motorino e non seppi se essere contento per quello che mi aveva detto o essere ancora più arrabbiato con lui. Non ha una faccia che permette rancore, i suoi occhi semichiusi, le sue labbra disegnate con un sorriso perenne ma un po’ triste, era un uomo che ispirava più tenerezza che rancore nella gente, possiamo dire che tutta la scuola lo rispettava, a parte il preside Zito, che lo odiava e non vedeva l’ora di trovare una scusa per sbatterlo fuori. Confesso che appena appresa la notizia dalla mia bocciatura, avevo avuto l’intenzione di andare da lui e spiattellargli tutto sui suoi metodi bislacchi di insegnamento, ma ora no, era un uomo così calmo che mi aveva incuriosito. La mattina alle 7:00 mi presentai a casa sua, lo vidi in garage armeggiare con dei bastoni e del filo trasparente, “Sei pronto?” mi disse “Sali! dai che sennò facciamo tardi!”, lasciai cadere il motorino e montai in auto con lui, prese la strada per Montemaggiore, poi lasciò la provinciale per infilarsi in una stradina in mezzo ai campi di grano, arrivammo ad una quercia e fermò la macchina, scese e aprì il cofano posteriore, non capii dove mi stava portando a fare lezione, dal cofano tirò fuori le canne da pesca e uno zaino, si accese una sigaretta e mi disse “Vieni!” , lo seguii senza fiatare, arrivammo davanti al gorgo di un rivo in mezzo alla macchia. Tirò fuori le canne, mise le esche e fece il primo lancio, sorrise come un bambino, quando il galleggiante atterrò proprio dove voleva lui. Dopo un ora di pesca mi azzardai a domandare “Professore ho portato i libri, quando facciamo lezione?” “Quando avrai preso il primo pesce” mi rispose. Continuammo ad andare a pescare per tutta la settimana. Il lunedì seguente presi il mio primo pesce. Mi disse: “Chiudi gli occhi” li chiusi, “Dimmi che cosa vedi”, io incredulo “Se ho gli occhi chiusi non vedo niente!”, si girò verso il gorgo e continuò a pescare. Altre volte durante le nostre lezioni mi recitava i versi di un poeta cubano di nome Santiago alcuni erano molto belli: “leggeri come un falco dobbiamo cercare la vita che corre tra l’erba e volare in picchiata su essa per prenderla e portarla dove vogliamo noi” “Non riuscirai a vedere niente finché guarderai solo con i tuoi occhi usa le mani, usa il cuore, vedono meglio di te fatti dire da loro, impara a parlare con loro.” “Il mare è stanco di raccontarci favole siamo solo uomini che non ascoltano, siamo conchiglie vuote, inutili pensieri, movimenti di carne e flussi di sangue.” Santiago Spesso, dopo la pesca, rimanevo a pranzo a casa sua, sapeva cucinare molto bene, apparecchiava per tre persone anche se eravamo solo in due, io finivo di mangiare, lui beveva solo due bicchieri di vino, poi mi faceva l’occhiolino e mi diceva di andare, l’ultima volta che pranzai a casa sua, vidi la macchina della signorina Lorenzi arrivare. Il giorno dell’esame, ero andato nell’aula indicata dal foglio appeso in bacheca, ero l’unico quel giorno, mi sentivo felice per questo. Arrivò il professore e mi strinse la mano, insieme a lui c’era il preside. Si sedette sul banco affianco al mio, il preside che rimase in piedi dietro al professore disse: “Allora professore! la vogliamo iniziare questa interrogazione?” , “Comandi” rispose il professor Santi, “Non faccia lo spiritoso e inizi che è meglio” ribatté duramente il preside. Il professore mi disse: ”Dimmi che cosa vedi”, vidi le braccia del preside spalancarsi e sbattere contro le gambe mentre stavo chiudendo i miei occhi. Non rividi più il professore in quella scuola, se ne andò pure di casa, e non ebbi più sue notizie. Dieci anni dopo, ancora il primo giorno di scuola, ricevetti una cartolina da Cuba con scritto “Non riuscirai a vedere niente finché guarderai solo con i tuoi occhi” firmato Santiago e un ciao scritto in stenografia. Mi voltai verso la classe e dissi: “Un uomo è sé stesso nella certezza di non essere mai scoperto”, “Voi senza controllo avete dimostrato ciò che siete, io non voglio controllarvi, voglio che siate sempre voi stessi”, ”Adesso, chiudete gli occhi”.

venerdì 10 ottobre 2008

Maracaibo

Maracaibo“...balla al Barracuda sì ma balla nuda zà zà, sì ma le machine pistol..” Un pacchetto di rosse da dieci mi dura circa una settimana, ma per questo viaggio un pacchetto non mi bastò. Ero arrivato in Venezuela nello stato della Zulia, nella sua capitale Maracaibo, la seconda città della nazione per grandezza e vero motore economico per il commercio e il turismo. Ero seduto al tavolino di una palafitta vicino al porto dove preparavano le aragoste appena pescate e servivano il vino bianco italiano che io, Michele Fanti vendevo direttamente dalla mia azienda vinicola. Il caldo insopportabile era il mio miglior alleato quando dovevo vendere, nessuno resiste al mio Greco di Tufo freddo con quella polpa bianca che ti si scioglie in bocca. Stavo assaggiando un’aragosta che il mio amico cliente Pedro Cardoza mi aveva offerto, quando la vidi entrare. Si appoggiò al bancone e si allungò fino in punta di piedi per salutare Pedro e il vestitino bianco seguì il movimento delle sue spalle scoprendo le sue cosce mulatte quasi per intero. Ero rimasto come impalato a guardarla e lei con un colpo d’occhio si girò verso di me, notando il catturato interesse nel mio sguardo. Fu un attimo, mi vide e si voltò, si rimise a parlare con Pedro e iniziò a ridere , forse rideva di me, anche Pedro mi guardava e rideva mentre con lo strofinaccio asciugava un boccale per la birra che qualche miscredente tedesco si ostina a bere con il pesce. Bifolchi! mi viene da dire ogni volta che li vedo commettere questi sacrilegi. Mi rimisi a masticare la mia aragosta velocemente e abbassai lo sguardo con un colpetto di tosse come per scaricare l’imbarazzo. Presi un bicchiere e lo riempii di vino lo alzai per berlo come per brindare da solo e vidi la ragazza che mi stava fissando. Le feci un cenno col bicchiere e lei mi sorrise. “Pardon?” si avvicinò al tavolo e mi chiese il permesso di sedersi. “....sì ma le mitragliere era una copertura faceva traffico d’armi con Cuba...” “Pedro mi ha detto che sei italiano, stasera facciamo una festa al Barracuda, vuoi venire?” pensai che il buon vecchio fascino dell’uomo italiano forse cominciava a vedersi. “Certo!” le risposi, finendo d’ingoiare frettolosamente il mio crostaceo. “Mettiti d’accordo con lui, venite insieme”. “Andai in albergo, Pedro sarebbe passato a prendermi alle 23 e portai con me un suo regalo. Mi feci una doccia, la barba e mi pettinai i capelli con un olio di cocco per renderli più morbidi e luminosi, telefonai a mia moglie per dirle che il vino era piaciuto e che tra due giorni sarei ripartito, le parlai del caldo e dell’umidità che hanno qui anche ad ottobre. Mentre ero al telefono, mi veniva da tremare per tutti i pensieri che facevo sulla ragazza mulatta, avevo paura di tradirmi in qualche modo non essendo abituato a “fuori via” di questo tipo, avevo anche il timore che tornato in Italia non sarei stato capace di mantenere il segreto. Certo, nei miei altri viaggi di lavoro ero solito cercare compagnia la sera, ma finivo per lo più in squallidi night dove al massimo rimediavo un paio di consumazioni. Mi ricordai di quando andai a Caracas e trovai un locale grazie ad un “tiradentro” che lungo il viale principale, mi fermò e mi disse : “Ciao italiano, stasera vuoi scopare? vieni al Las Vegas, ci sono le migliori, vedrai sicuro, no problem” capii che avevo la classica faccia da italiano che si fa fregare, ma non m’importò e accettai il consiglio del tipo, finendo a bere con una brasiliana sfatta dalle grosse tette, che prima di sedersi con me faceva la vogliosa strusciandosi coi suoi meloni sulla mia faccia e una volta appartati per la consumazione cominciò invece a parlarmi dei suoi problemi con i figli, i soldi e il marito che la menava. Faceva bene, pensai dentro di me. Ero pronto. Avevo messo la giacca bianca di lino sopra la camicia nera aperta sul petto. Mancavano ancora un ora all’appuntamento e cercai di farmela passare nel migliore dei modi col regalo di Pedro. ”...rum e cocaina...” Aprii lo scartoccio e con un cucchiaio ne presi un po’ che stesi sopra al comò stile coloniale. Preparai un rigo, lo feci subito, ma ne rimase un po’ dai lati e sul dollaro arrotolato, quindi presi una Malboro, le tolsi il filtro e ne rimisi solo metà, la leccai lateralmente, per farci attaccare la roba che era rimasta e me la fumai steso sul letto, pensando alle caviglie sottili con i tendini tesi della mulatta, alle sue spalle di velluto, vestite solo di due fili di seta e ai suoi bellissimi capelli castani sopra di esse. Le boccate si andavano ad infrangere sulla persiana semichiusa, galleggiando qualche istante prima di essere risucchiate dall’aria della città, forse il fumo portava con sé la mia anima. Pensai che ad una festa si dovesse ballare ed io da buon Italiano del 67, sapevo ballare solo il Valzer, la Mazurca e un po’ di Tango, quindi decisi di esercitarmi davanti allo specchio con qualche passo in scioltezza caraibica, abbracciando l’attaccapanni che avevo vestito con la mia giacca di lino. Alle 23 e 30 , da queste parti la puntualità è un optional, passò Pedro. Mi chiese se il regalo era stato gradito ed io annuii con una risata fragorosa che lasciava intendere che il rigo di prima era stato seguito da molti altri e da tante altre sigarette. “...era in cordigliera da mattina a sera...” Il Barracuda è un locale lungo la spiaggia e questa sera era off-limits per gli stranieri, eccetto che per me che ero stato invitato. Per la strada chiesi a Pedro di parlarmi della mulatta, mi disse che era cubana e si chiamava Luna, faceva la ballerina ed era fidanzata con Miguel, ma adesso Miguel non c’era, perché doveva sbrigare degli affari sulle montagne. Entrai con Pedro, l’ambiente era molto carino, pieno di belle ragazze poco vestite che facevano la spola tra il banco dei cocktail e la pista da ballo. In pista a ballare sulle casse c’era Luna. Rimasi a guardarla come la prima volta che la vidi, mi catturavano le sue movenze, i suoi passi di danza così calienti, ballava piegando le gambe e movendo il bacino in avanti, teneva la mano sinistra dietro la testa girata di lato e l’altra appoggiata sul fianco destro, faceva una specie di saltelli veloci in avanti che non avevo mai visto prima, ma che trasportava tutti i miei desideri addosso a quel corpo dalla pelle bruna, immerso in un letto dalle coperte bianche e profumate. Iniziai a ballare in pista con l’intenzione di avvicinarla sempre di più, per salutarla, come se fosse per caso. Mi muovevo alla meno peggio, ma mi sentivo terribilmente goffo rispetto alla gente che mi attorniava, al ché una ragazza, mi si avvicinò, mi prese le mani sorridendo e incominciò a ballare con me, il massimo che potevo fare era muovere i miei piedi seguendo un po’ il ritmo e questo a lei bastava, infatti cominciò a mettere le sue cosce intorno alla mia gamba destra e a muoversi come per fare l’amore. Il ballo mi trasportò al punto che mi sentii sciolto e mi muovevo come se i miei arti fossero di gomma, mi piaceva guardarla negli occhi mentre danzava sinuosa davanti a me, io ero il suo palo e lei la pantera legata ad esso. La presi più volte per le mani e la feci girare, fino a che sentii un colpetto sulla spalla che mi invitò a voltarmi, mi girai e ferma davanti a me c’era Luna. Rimasi stupito del fatto che smise di ballare sulle casse per venirmi a salutare, forse le interessavo veramente. Mi disse “Ciao Italiano, vieni a fare un giro? ti devo parlare.” Acconsentii e la seguii. Con noi venne anche Pedro e questa cosa non mi piacque, Luna si dirigeva verso l’uscita e io facevo dei segni a Pedro con gli occhi e la bocca per invitarlo a lasciarci soli, ma lui non capiva o fingeva di non farlo, anzi, mi sorrideva quasi divertito e ci seguì fino alla casetta di legno prima della spiaggia. Entrati nella casetta Luna mi disse il motivo perché mi aveva invitato alla festa, mi diede una busta in mano e mi fece promettere di consegnarla al destinatario una volta tornato in Italia. La busta era sigillata, lessi però il destinatario “Al Segretario del Partito Comunista Italiano” e notai altre lettere scritte in alto a sinistra “E. G”. Non capivo, non riuscivo a capirci niente, forse ero finito in un club di pazzi mitomani, l’unica cosa che capivo e che non le interessavo nel senso che avrei voluto. Accettai comunque e misi la busta nella tasca posteriore dei pantaloni, pensai che una volta arrivato in Italia, l’avrei gettata nel primo cassonetto dell’aeroporto. “Va bene” le dissi “Conta pure su di me”, vidi i suoi occhi neri spalancarsi e le sue labbra carnose aprirsi per sorridermi, mi diede un bacio sulla bocca come ringraziamento. Pedro era rimasto vicino e anche lui mi ringraziò stringendomi la spalla e colpendola in maniera bonaria e ripetuta, ridi sto cazzo coglione, pensai. Avevo perso ogni speranza di potermela spassare con Luna e decisi di tornare dentro il locale per cercare la ragazza di prima per continuare il ballo. Prima tornare dentro, mi appartai un attimo per pisciare e da dietro una siepe vidi entrare nella casetta un uomo, dopo qualche istante, sentii la voce di Luna “Miguel!”, poi udii quattro colpi di pistola. Non sapevo cosa fare, se scappare o se andare a vedere, avevo sniffato troppo quella sera e l’aggressività mi giocò un brutto scherzo. Andai verso la casetta e vidi Pedro a terra in un lago di sangue contorcersi dal dolore, in piedi Luna e Miguel che stavano parlando con lui che le puntava una pistola. “....Maracaibo mare forza 9 fuggire si ma dove ?....” Miguel si accorse della mia presenza e intimò di fermarmi puntandomi la pistola contro, alzai le mani sopra la testa e lui venne verso di me tenendomi sotto tiro e trascinando con forza per un braccio Luna, mentre si dibatteva e piangeva, poi voltatasi verso Pedro ormai morente lo salutò “Adios compagnero!”. “Sei l’italiano ?” mi chiese Miguel, “Sì, mi chiamo Michele Fanti, sono italiano, ma ti giuro che non stavano facendo niente di male, eravamo qui solo per parlare dell’Italia noi non...” Miguel mi interruppe, “Cammina verso quella barca” tutti e tre ci incamminammo, io e Luna procedemmo davanti. Salimmo sulla barca e Miguel levò gli ormeggi. “....come una bandiera morde il pescecane nella pelle bruna...” Una volta al largo Miguel mi disse “Allora italiano, dammi la busta” “Quale busta?” risposi io nell’incoscienza e lo stupore. “La busta che questa terrorista cubana ti ha consegnato prima” ribatté. Mi ricordai che avevo messo la busta nella tasca posteriore dei pantaloni e gliela diedi senza ulteriori titubanze. “Mi chiamo Felix Ramos, sono un agente cubano della Cia, non preoccuparti, non ti farò alcun male”, queste sue parole mi rassicurarono molto, le mie gambe cominciarono a tremare per una scarica di adrenalina che mi invase tutto il corpo, in quanto mi ero già dato per morto e come cena per i pescecani. “Questa mattina” continuò il tipo “9 ottobre 1967, abbiamo condannato a morte e giustiziato, il rivoluzionario, nemico della libertà, Ernesto Guevara, sono tornato dalla Bolivia per finire il lavoro con i suoi complici qui in Venezuela”. “Traditore!” uscii dalla bocca di Luna. Ripensai alla busta che mi aveva dato Luna, “E. G” le iniziali significano proprio Ernesto Guevara!. Felix cominciò a parlare con me in tono quasi rilassato mentre si accendeva una sigaretta “Dovevamo fermarlo, stava diventando una minaccia per tutto il sud America, prima Cuba, adesso la Bolivia, con i suoi scagnozzi sparsi per tutte le nazioni, piano piano avrebbe esteso la sua follia ovunque, lo dovevamo fermare e oggi lo abbiamo fatto!” , “Giusto” dissi per compiacerlo. Finita la sigaretta si voltò verso Luna che aveva la testa bassa e le guance coperte dalle lacrime, le appoggiò la canna della pistola sulla fronte e lei sentendo il ferro ancora caldo per i quattro colpi di prima, alzò lo sguardo, i suoi occhi neri si gonfiarono di fierezza e smisero di far uscire le lacrime, proferì l’ultima frase “Viva la revolucion!”, “..zà zà!”

La casa di sabbia

la pioggia
farà crollare
la nostra
casa di sabbia
posta
alla fine del mondo
ci avvolgerà come tristezza
di un uccello morto in volo
per le sue dipendenze
dall’aria.

giovedì 9 ottobre 2008

Il cielo disegnato dentro me

Vorrei stare
seduto con te a contemplare
il cielo che ti ho disegnato dentro me
le notti che non ho dormito
i giorni che ti ho cercata
mentre il vento accarezza
le nostre guance ansiose e i capelli scuri
pensarti è il male che voglio darmi
ma nel mio male voglio ritrovarmi

sapere che ancora riesco a sentire
quando la terra è viva
e chiama il mio nome

a volte rispondo a volte no
a volte sono in volo
altre atterro in aeroporti
dove non c'è nessuno.

lunedì 6 ottobre 2008

Il ladro di coriandoli

Pezzi di mezzaluna sono volati nel cielo
appeso a una tenda da circo
c’è un uomo che parla da solo
ripete le stesse parole piangendo
- ho rubato coriandoli al fumo
c’è mio figlio in questa cenere nera
non lascio che affoghi nel sangue -
sorride
- con un soffio, lo rimando alle stelle -
andatevene naviganti distratti, qui
non c’è più nessuno

martedì 30 settembre 2008

Contro un uragano



Voglio che te ne vada
confonditi coi tuoi capelli
in mezzo al grano
e smetti di agitare i miei pensieri
seguirò la scia di spighe
infrante dai tuoi passi
e mesto tenterò di ricordare
il sentiero che hai tracciato,
per poterti un giorno ritrovare.
Avevo solo amore
e tu me lo hai rubato
mi restano soltanto quei pensieri
agitati come l'acqua da una mano
ma non avrei potuto mai tenere
una foglia con un dito, ferma
contro un uragano.

("Senza titolo" foto di Viola Cangi)
http://www.flickr.com/violetberry

giovedì 18 settembre 2008

viscere

Tutto fuorché quieto
a chi prova
a leggerci dentro
lasciamo vedere
le città abbandonate
che ci abitano,
vento compreso
e fischi di zingari
dei deserti vicini.

I resti dell’umanità
sono ossidati.

Nel mio ventre
vecchie padelle sulla strada
ricoperte di sabbia
e cieli color piombo.

martedì 16 settembre 2008

Occhi buoni

Sentirei troppe volte gridare
prima di cedere
e sono urla mie.

Così un po’ affacciato
e un po’ confuso
tento di reagire
ma quanto tremano le gambe,

ho lasciato appeso uno sguardo
davanti alla tv

domani mi racconterà

se è questa volta l’agitarsi
oppure un lecito osservare
forse è

inutile che stringo i denti,
ho occhi buoni nelle foto.

A mani libere


Alla domanda rispose
-un pasto per 10 persone-
lo sbatterono in sala
con la tavola piena
prese i pani li divise
prese i pesci li divise
- portateli a 20 bambini -
Lo accompagnarono
davanti alla corda
a mani libere

giovedì 11 settembre 2008

Presentazione Libro - Eventi


Domenica 28 settembre dalle ore 18 presso il wine bar Syrah di Città di Castello, ci sarà un aperitivo letterario con la presentazione del nostro Libro "E' tutto un complesso di cose".




Io, Maria Luisa, Sara e Aldo, coadiuvati dallo scrittore Giovanni Pannacci, saremo presenti e cercheremo di presentare al meglio la nostra prima "fatica" .

link al sito del locale

http://www.syrahwinebar.it/pages/eventi.asp

mercoledì 10 settembre 2008

Per sempre


Bracciate tese,
disteso
l’animo ai pensieri
le parole ai gabbiani.
Sfumano i due giganti,
nel loro abbraccio
riconosco la fine.
Affondano solo i silenzi,
sono eterni colpi di remi
come onde salate di prima mattina
Andare avanti verso l’infinito
e nuotare per sempre.

mercoledì 6 agosto 2008

Passi brevi

"bella italiana" pietro annigoni


Ho confuso le azioni,
come i colori in un pessimo astratto.
I giorni hanno avuto il sapore del vino
nel piacere dei suoi primi bicchieri
fino al bisogno di bere.
Anche se gli occhi vedono ancora l’estate
questo vento li colma di lacrime false.
Sarebbe inutile correre perché
la vita adesso è solo camminare
e di questi passi troppo brevi
rimane appena un’ombra di lato

lunedì 23 giugno 2008

La farfalla


La farfalla non volle accorgersi
che quella che le stava volando al fianco
era una foglia.
La foglia cadde a terra
La farfalla si posò su di un filo d’erba,
tenne le sue ali rosa aperte
da sembrare un fiore.

martedì 10 giugno 2008

scaldi la pelle



Scalda la pelle questo umido sole,
e stai davanti al vento e scuoti la testa
ti chiedo di usare la mia inutilità,
lo immagino, chi accetterebbe?
Lo hai fatto, siamo due niente felici
davanti a un dirupo a sognare,
inizia la pioggia, dobbiamo partire
e tu lasci una bottiglia piena d’acqua
sul ciglio della strada nell’attesa
che lì nasca un fiore.

venerdì 6 giugno 2008

verso la luce



continua a baciare il blu
ogni passo è un'ascensione
immagini grige alla finestra
e colorati contorni ai lati
di mura infrante da grida disperate

le carezze ci possono salvare
gli abbracci ci possono istruire

sentire il sangue nell'altro
e amare il suo profumo caldo

aprirai gli occhi finalmente
e sarà come non aver dormito

nel tuo vestito nuovo
a braccia conserte per l'eterno
aprirai la porta ed uscirai
per sempre un passo dopo l'altro
verso la luce.

giovedì 22 maggio 2008

Apocrifo


Il re bianco sparge neve
dalla duna più alta del deserto
i sudditi con le lingue di fuori
osservano invano i fiocchi
sciogliersi nella discesa.
Sul legno venne incisa una poesia
Il falegname l’abbracciò e poi morì.
Era un poeta che parlò alle persone
guardandole fisse negli occhi.

lunedì 19 maggio 2008

Il catalogatore di speranze


Dal soffitto cadono fogli colorati
nella cassa, al centro della stanza.
il vecchio striscia, le mani pesano
alza un foglio, ne legge il nesso
pronuncia: - amore -
con la cera lo attacca al muro
e ancora: - per l’amore così etereo,
il freddo muro è il giusto mezzo. -
solleva il secondo - danaro -
sistema il foglio nel fango
- per la ricchezza che da’ sollievo,
per l’anima che rimane a terra -
e ancora un altro - bellezza -
lasciò cadere il foglio a terra
- senza vederti potrei apprezzarti? -
ne prese un altro e mi guardò
- è tuo - mi disse
- sai quello che ne devi fare -
bruciai il foglio sopra la candela,
soffiai la cenere nell’aria
e questa fu la fine dei miei sogni.

venerdì 16 maggio 2008

I papaveri si ribellano al grano




Odio le donne oca
e gli uomini arroganti
amo i leoni che possono uccidere
ma non lo vogliono fare


l'infezione ti prende dalle dita
e per ultimo il cervello

le auto fanno rumori
fastidiosi

il ventricolo del cuore
si è bucato

escono gocce dalla pelle
sembrano papaveri
ribellarsi al grano

la mia anima nera
la riconoscono le streghe
e di notte la vengono a cercare
l'ultima volta, mi ricordo,
le ho combattute.

giovedì 15 maggio 2008

dopolavoro



Ho avuto una visione
un notaio, un operaio,
una puttana e un dottore
bevevano insieme
al bar del dopolavoro.

Io voglio stare nella merda
perché puzzo,
e non la chiamo merda
ma sangue caldo.

non mi sciolgo le dita
per suonare
a me basta così,
a chi basta il vetro
per batterci i denti
o attaccarci le pupille.

Mi farò confezionare
etichettare e spedire
mi scarteranno i bambini a Natale.
Spero che piangano.

lunedì 12 maggio 2008

Figurine



I passi avevano una voce allungata
mentre ti avvicinavi
passando dietro le mie giovani spalle
nemmeno un gesto al mio viso girato
solo i tuoi occhi fissi
poi entravi e piano chiudevi la porta
sentivo nell’altro l’assenza e le risa
e in te il suo ciondolare di spalle.
I grilli agitavano il vento
Le lucertole restavano al sole.
Poi uscivi dopo il silenzio
E con il cielo nei passi
mi attraversavi
mentre rimanevo seduto
e barattavo le carte
con un amico immaginario.

giovedì 8 maggio 2008

L'Angelo truccato



Una mattina si colorò il viso
mise oro attorno agli occhi

e celeste sulle labbra.

Di vermiglio il collo.

Lentamente si produsse in passi
diventò un geisha
ma sorrideva, senza le mani.

Raccolse un po’ di sogni
che non aveva fatto
li legò alla piuma di una rondine
vagò per giorni e poi sparì.

Fu visto in fine
in cima alla collina
con le braccia alzate
che gridava:
- sentite,
anche da qui si tocca il paradiso-

mercoledì 30 aprile 2008

le ali legate



il giovedì compravo un piccione
lo tenevo per le ali legate
lo portavo a mia madre
lei lo uccideva
mentre lo vedevo morire
mi sentivo come una foglia
rapita dalla tela del ragno
in balia
di un maligno soffio di vento