domenica 18 dicembre 2011

L'ultima opportunità


Carmen passeggiava per la stanza mordendosi le unghie.
- Ho fatto un po’ tardi, mi sono fermato con un collega a parlare di lavoro - sembrò che non mi avesse neanche visto entrare.
Per definire il matrimonio utilizzo spesso una metafora: la vita da single è un bagno caldo, lento e gustoso, la vita di coppia è una doccia fredda e fatta in fretta.
Per i primi anni mi sono piegato ai doveri, prendendo la relazione con la donna che avevo sposato come un lavoro. Poi sono arrivate le prime incomprensioni. Stupidaggini, per chi le vedeva da fuori. Insormontabili, per noi; con nessuno dei due disposto a retrocedere di un solo passo di fronte al nemico. Così decisi di riprendermi i miei spazi. Quando mia moglie voleva litigare, mi chiudevo in bagno e riempivo la vasca.
Riscoprii il mio corpo. Ammiravo le forme che facevo con le mani sul pelo dell’acqua, provavo tenerezza per il mio sesso raggrumato, m’immaginavo un fotografo che coglieva l’inquadratura delle mie gambe sott’acqua con i peli che nuotavano. Che avevo fatto di male? In fondo avevo deciso di prendere un po’ di spazio in più per me, ne avevo il diritto. Per un’ora al giorno lasciavo fuori dalla mia vita lei e mia figlia. Anche gli psicologi che parlavano in televisione consigliavano a tutti di prendersi un po’ di tempo per se stessi.
Ma Sara non lo capì. Una sera uscii dal bagno e non la ritrovai più. Neanche un biglietto di addio, neanche un vaffanculo. Uscii dal bagno asciugandomi la testa e guardai mia figlia Carmen, ormai ventenne: - Ci pensi tu alla cena? - le chiesi e andai a vestirmi.
Mi domandai tante volte perché mia figlia fosse rimasta con me. Perché scelse i miei gilet marroni, le mie pantofole, la mia alopecia. Che cosa mai le avrei potuto offrire?
Per un po’ funzionò. La sera rientravo dal lavoro, posavo la borsa di pelle sulla sedia e mi mettevo a tavola. Carmen, stava ai fornelli, mi chiedeva com’era andata al lavoro e io le mugugnavo qualcosa da dietro il giornale. Non era, poi, tutto uno schifo. Coi miei era durata una vita intera. Qualche volta mi chiedeva di uscire, di andare al cinema o a cena fuori. Come risposta mi toglievo gli occhiali e la guardavo con un gesto di rimprovero.
Quella sera rientrai più tardi del solito, mi ero fermato una mezz’ora in più al bar con i colleghi dopo il lavoro. Che c’è di male Santiddio, un uomo che lavora tutto il santo giorno, si spacca il culo per sua figlia, per farla andare all’università e avere una vita serena, non può prendersi qualche momento di pace e serenità con gli amici?
La cena non era pronta. Andai in camera sua, ma non entrai, rimasi sulla soglia. Mi sembrò come se un demone le fosse entrato in corpo e l’avesse fatta vestire da sgualdrina. Come una di quelle stupide che si vedono in televisione, tutte uguali, coi loro trucchi pesanti, i seni in bella vista e le gambe scoperte.
Suonò il campanello. Carmen si arrestò di colpo e avanzò verso di me, mi strattonò per passare.
- Chi diavolo sarà a quest’ora? - chiesi ad alta voce.
Vidi Carmen andare alla porta, aprirla e sorridere stringendo gli occhi. Un uomo entrò e l’abbracciò. Era un vecchio, molto più di me, con una corporatura robusta, un grosso faccione quasi giallognolo e folti capelli lisci e grigi pettinati all’indietro.
- Questo è Marcello -  mi disse mia figlia.
- Che vuol dire “questo è Marcello? Chi sarebbe Marcello? - le chiesi sistemandomi gli occhiali. 
- Marcello è il mio uomo. - mi rispose.
- Mio.. mio.. tuo nonno, vorrai dire - le risposi, stringendo i pugni.
- Non offenda signor Semplici. Io e sua figlia ci amiamo, vedrà che si troverà bene con me. Sono un uomo ricco, non le farò mancare nulla, con me avrà una bella vita, glielo assicuro.
Carmen mi fissò, con la sua bocca ansiosa di commentare ogni mia risposta. Ciò non avvenne, li oltrepassai e mi chiusi in bagno. Sentii piangere, poi alcuni passi verso la cucina e, infine, sbattere la porta.
Riempii la vasca. Chiusi gli occhi e mi immersi in quel tepore benefico. La nebbiolina, presto riempì il bagno. Avevo fatto bene. Lasciarla andare era stata la decisione migliore. Ho fatto di tutto per lei per farla vivere serenamente ed ora che ha trovato l’amore non posso negarglielo, in fondo sono suo padre, non il suo padrone. Uscii dal bagno e decisi di prepararmi qualcosa da mangiare. Trovai un biglietto sulla tavola.
“Caro papà, se leggerai questa lettera vorrà dire che non ci vedremo più. Questa era un’ultima opportunità che una figlia, ancora piena di affetto, ha voluto dare al proprio padre. Marcello non è il mio uomo, è il mio professore di recitazione. Ah, già, tu non sai nemmeno che ho lasciato l’università e sto seguendo un corso di teatro. Questa sera non so come farò a non scoppiare a piangere se tu non mi fermerai. Spero sinceramente che non lascerai andare via di casa tua figlia con un uomo di quarant’anni più vecchio solo perché è ricco e le può assicurare un futuro sereno. Ho paura invece, perché ti conosco, che non farai niente, come non hai fatto niente per mamma. A proposito, vuoi sapere perché sono rimasta con te, invece che andare con lei? Perché tu non sei scappato, perché pensavo che tu vivessi per me e che mi volessi bene. Ma voler bene è gioia di stare assieme ad un altro e dentro di te c’è solo una grande e infinita tristezza e se allora è così, significa che è anche colpa di chi ti sta attorno e quindi credo sia giusto che tu ricominci da capo anche se dovrai farlo da solo.”

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