...
Il ristorante “la Corriera” era specializzato in novelle cuisine: cappesante, sugo di animali da cortile, riso al cioccolato e maiale con il miele. Il tutto in minuscole porzioni e servito su piattoni quadrati, decorati con salse di vari colori. Si presentò il sommelier per la scelta del vino.
- Signori, il mio nome è Augusto. Posso aiutarvi nella scelta del vino?
Ci consigliò un rosso locale, delicatamente fruttato che si abbinava bene col mio maiale.
Avevo controllato la carta dei vini, quello che ci consigliava il tipo con lo zinale nero costava solo quaranta euro. Scossi la testa, e dissi al sommelier che questa era una serata speciale e avevamo bisogno di festeggiare con un vino di importanza superiore. Tanto pagava lei. Chiesi una bottiglia di Calon-Ségur. Non sapevo di cosa si trattava, speravo di non aver scelto un vino sbagliato, mostrando che la mia preferenza era ricaduta su quella bottiglia solo per il gusto di far spendere un sacco di soldi alla mia collega. L’uomo mi disse: - Meravigliosa scelta signore!
Augusto sorrise quando gli chiesi se lo avevano anche bottiglie da due litri.
Iva era rimasta impassibile, probabilmente perché non sapeva di aver già speso la bellezza di centoventi euro. Anzi mi sorrise dicendomi che la sorprendeva il fatto che conoscessi così bene i vini. Era cambiata. Lontana dall’ufficio era diversa, era molto gentile e calma.
La osservavo infilarsi avidamente il cucchiaio di riso in bocca con la crema al cioccolato che le colava dal mento sul piatto.
Il fatto di vendere il mio corpo non mi disturbava. Mi sentivo un playboy, un grande amante, uno che nella vita non avrebbe dovuto lavorare per sfangare la situazione, ma gli sarebbe bastato solo schioccare le dita ed una donna matura e desiderosa delle mie attenzioni sarebbe accorsa all’istante.
Mi rilassai, stesi la schiena all’indietro e allungai le gambe. Sorseggiai l’ottimo vino francese e lanciai occhiate ai tavoli attorno. Sedute attorno a me c’erano coppie, con danarosi uomini vecchi e brutti e giovani donne poco vestite e ben curate. “Guardatemi bellezze, io sono uno di voi” , “ringraziamo il Dio dell’amore perché ci ha reso così attraenti, omaggiamoli con la vera arte dell’amore”, “rimaniamo uniti in un simposio di passione”, “amiamoci, perché noi siamo gli angeli, le creature perfette”, “ rendiamo questi miserabili schiavi delle nostre forme delicate e sinuose”. Mentalmente amai tutte le ragazze del locale, tranne naturalmente Iva, a lei l’immaginai insieme
all’uomo calvo con i baffi e il vestito grigio che parlava al telefono con la moglie mentre la biondina che gli stava davanti giocherellava con un crostaceo e uno stuzzicadenti, emettendo stridule risatine ogni volta che lo faceva muovere. Iva ovviamente era la moglie al telefono.
La mia sudicia collega ogni tanto alzava gli occhi dal piatto e mi osservava, mentre io fingevo di guardare da un’altra parte. Piegava leggermente la testa e strizzava i suoi occhietti fino a nasconderli tra le sopracciglia e gli zigomi.
A fine cena mi diede la sua carta di credito e mi fece pagare il conto. Uscimmo dal locale, io leggermente ubriaco per il rosso francese e lei felice al punto di avanzare roteando come una pattinatrice sul ghiaccio e sorrideva guardando le stelle.
Si voltò di scatto, mi venne incontro e si buttò al mio petto. Mi guardò dritta negli occhi.
- Andiamo a casa nostra amore mio, ho voglia di te.
- E’ ancora presto, non vuoi bere un altro po’? - provai l’ultima carta per farla ubriacare, ma desistetti subito, infatti dell’ottimo vino lei ne aveva sorseggiato sì e no mezzo bicchiere.
Alle undici eravamo a casa mia. Non volevo farmi vedere da nessuno, così parcheggiai l’auto proprio davanti alle scale. La feci scendere di corsa e altrettanto velocemente entrammo in casa.
Si mise a gironzolare per la mia camera, toccando tutto quello che vedeva. Prendeva in mano i miei libri e ne ripeteva il nome dell’autore con voce altisonante. Si fissava davanti alle mie foto appese alle pareti e si metteva le mani dietro la schiena come un visitatore di una mostra di pittura e ripeteva “eccoti” ogni volta che mi scorgeva.
Un po’ stanco della situazione e di lei, cominciai a spogliarmi, le andai davanti nudo e le dissi che ero pronto per cominciare.
- Che fretta hai tesoro, abbiamo tutta la notte.
- Sono stanco, domani mi devo alzare presto e poi ho bevuto troppo.
- Va bene amore, dimmi dov’è il bagno che mi sistemo e arrivo.
Mi stesi sul letto. Presi i profilattici e li misi sul comodino. Controllai il mio uccello. Mi sembrò di toccare una gengiva anestetizzata. Non dava segni di vita, probabilmente il vino o la situazione squallida stavano giocando a mio sfavore. Però non potevo mollare proprio ora. Avevo fatto tanto, anche troppo e anche se la parte peggiore della serata doveva ancora arrivare, ero deciso a portarla a termine. Glielo dovevo al cane, non potevo lasciarlo morire in solitudine, con una puntura di veleno, in uno squallido ambulatorio veterinario.
Mi concentrai, chiusi gli occhi e mi toccai tra le gambe, cercavo nei miei pensieri momenti di libidine totale.
Ripensai alle tette di Maria Rosa Lalli, che, quando camminava per il corridoio della scuola di ragioneria, le dondolavano in su e giù ma anche a destra e sinistra. Ripensai quando, durante gli ultimi giorni di scuola, lei indossava una T-shirt bianca e Rocchi le tirò un secchio d’acqua sul petto, mostrando a tutti quel ben di Dio di cui era fornita Maria Rosa. Ma non funzionò, soprattutto perché io con Maria Rosa ci parlai al massimo un paio di volte senza nemmeno avere il coraggio di invitarla a vedere un film al cinema o prendere una birra.
Funzionò, invece, quando pensai ad Anita, l’ultima ragazza con cui avevo avuto un rapporto. Il mio pene si alzò con due scatti e rimase rigido, ora bastava che tenessi il pensiero fermo su di Anita e tutto sarebbe stato possibile. Sentii lo sciacquone del water e la porta aprirsi.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Si era spogliata. Nuda faceva ancora più schifo. I suoi capezzoli, che non avevo visto l’altra volta, erano due bottoni, troppo grandi per quei seni inesistenti.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Si buttò sul letto. Ebbe anche il coraggio di provare uno scherzetto, se solo avesse immaginato quanta fatica avevo fatto per erigere il monumento che tenevo in mezzo alle gambe!
- Cucù! - disse davanti alla mia faccia, mentre stava in ginocchio sul letto e si reggeva con i pugni sul materasso.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Piano piano Iva stava svanendo e Anita prendeva il suo posto. Ora la sua pelle non era più ruvida e oleosa ma liscia, profumata e morbida. I suoi fianchi non erano ossuti ma formavano curve delicate e accomodanti. I suoi capelli erano diventati lunghi e biondi e il suo viso era diventato quello di un angelo con gli occhi neri, quello di Anita.
La baciai, la strinsi forte, strusciai il mio corpo contro il suo. Bellissima Anita, bellissimo amore mio.
Esplosi di piacere dopo pochi minuti. Lei felice rimbalzò sulla parte destra del letto, mi appoggiò la testa sul petto e si addormentò.
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Il ristorante “la Corriera” era specializzato in novelle cuisine: cappesante, sugo di animali da cortile, riso al cioccolato e maiale con il miele. Il tutto in minuscole porzioni e servito su piattoni quadrati, decorati con salse di vari colori. Si presentò il sommelier per la scelta del vino.
- Signori, il mio nome è Augusto. Posso aiutarvi nella scelta del vino?
Ci consigliò un rosso locale, delicatamente fruttato che si abbinava bene col mio maiale.
Avevo controllato la carta dei vini, quello che ci consigliava il tipo con lo zinale nero costava solo quaranta euro. Scossi la testa, e dissi al sommelier che questa era una serata speciale e avevamo bisogno di festeggiare con un vino di importanza superiore. Tanto pagava lei. Chiesi una bottiglia di Calon-Ségur. Non sapevo di cosa si trattava, speravo di non aver scelto un vino sbagliato, mostrando che la mia preferenza era ricaduta su quella bottiglia solo per il gusto di far spendere un sacco di soldi alla mia collega. L’uomo mi disse: - Meravigliosa scelta signore!
Augusto sorrise quando gli chiesi se lo avevano anche bottiglie da due litri.
Iva era rimasta impassibile, probabilmente perché non sapeva di aver già speso la bellezza di centoventi euro. Anzi mi sorrise dicendomi che la sorprendeva il fatto che conoscessi così bene i vini. Era cambiata. Lontana dall’ufficio era diversa, era molto gentile e calma.
La osservavo infilarsi avidamente il cucchiaio di riso in bocca con la crema al cioccolato che le colava dal mento sul piatto.
Il fatto di vendere il mio corpo non mi disturbava. Mi sentivo un playboy, un grande amante, uno che nella vita non avrebbe dovuto lavorare per sfangare la situazione, ma gli sarebbe bastato solo schioccare le dita ed una donna matura e desiderosa delle mie attenzioni sarebbe accorsa all’istante.
Mi rilassai, stesi la schiena all’indietro e allungai le gambe. Sorseggiai l’ottimo vino francese e lanciai occhiate ai tavoli attorno. Sedute attorno a me c’erano coppie, con danarosi uomini vecchi e brutti e giovani donne poco vestite e ben curate. “Guardatemi bellezze, io sono uno di voi” , “ringraziamo il Dio dell’amore perché ci ha reso così attraenti, omaggiamoli con la vera arte dell’amore”, “rimaniamo uniti in un simposio di passione”, “amiamoci, perché noi siamo gli angeli, le creature perfette”, “ rendiamo questi miserabili schiavi delle nostre forme delicate e sinuose”. Mentalmente amai tutte le ragazze del locale, tranne naturalmente Iva, a lei l’immaginai insieme
all’uomo calvo con i baffi e il vestito grigio che parlava al telefono con la moglie mentre la biondina che gli stava davanti giocherellava con un crostaceo e uno stuzzicadenti, emettendo stridule risatine ogni volta che lo faceva muovere. Iva ovviamente era la moglie al telefono.
La mia sudicia collega ogni tanto alzava gli occhi dal piatto e mi osservava, mentre io fingevo di guardare da un’altra parte. Piegava leggermente la testa e strizzava i suoi occhietti fino a nasconderli tra le sopracciglia e gli zigomi.
A fine cena mi diede la sua carta di credito e mi fece pagare il conto. Uscimmo dal locale, io leggermente ubriaco per il rosso francese e lei felice al punto di avanzare roteando come una pattinatrice sul ghiaccio e sorrideva guardando le stelle.
Si voltò di scatto, mi venne incontro e si buttò al mio petto. Mi guardò dritta negli occhi.
- Andiamo a casa nostra amore mio, ho voglia di te.
- E’ ancora presto, non vuoi bere un altro po’? - provai l’ultima carta per farla ubriacare, ma desistetti subito, infatti dell’ottimo vino lei ne aveva sorseggiato sì e no mezzo bicchiere.
Alle undici eravamo a casa mia. Non volevo farmi vedere da nessuno, così parcheggiai l’auto proprio davanti alle scale. La feci scendere di corsa e altrettanto velocemente entrammo in casa.
Si mise a gironzolare per la mia camera, toccando tutto quello che vedeva. Prendeva in mano i miei libri e ne ripeteva il nome dell’autore con voce altisonante. Si fissava davanti alle mie foto appese alle pareti e si metteva le mani dietro la schiena come un visitatore di una mostra di pittura e ripeteva “eccoti” ogni volta che mi scorgeva.
Un po’ stanco della situazione e di lei, cominciai a spogliarmi, le andai davanti nudo e le dissi che ero pronto per cominciare.
- Che fretta hai tesoro, abbiamo tutta la notte.
- Sono stanco, domani mi devo alzare presto e poi ho bevuto troppo.
- Va bene amore, dimmi dov’è il bagno che mi sistemo e arrivo.
Mi stesi sul letto. Presi i profilattici e li misi sul comodino. Controllai il mio uccello. Mi sembrò di toccare una gengiva anestetizzata. Non dava segni di vita, probabilmente il vino o la situazione squallida stavano giocando a mio sfavore. Però non potevo mollare proprio ora. Avevo fatto tanto, anche troppo e anche se la parte peggiore della serata doveva ancora arrivare, ero deciso a portarla a termine. Glielo dovevo al cane, non potevo lasciarlo morire in solitudine, con una puntura di veleno, in uno squallido ambulatorio veterinario.
Mi concentrai, chiusi gli occhi e mi toccai tra le gambe, cercavo nei miei pensieri momenti di libidine totale.
Ripensai alle tette di Maria Rosa Lalli, che, quando camminava per il corridoio della scuola di ragioneria, le dondolavano in su e giù ma anche a destra e sinistra. Ripensai quando, durante gli ultimi giorni di scuola, lei indossava una T-shirt bianca e Rocchi le tirò un secchio d’acqua sul petto, mostrando a tutti quel ben di Dio di cui era fornita Maria Rosa. Ma non funzionò, soprattutto perché io con Maria Rosa ci parlai al massimo un paio di volte senza nemmeno avere il coraggio di invitarla a vedere un film al cinema o prendere una birra.
Funzionò, invece, quando pensai ad Anita, l’ultima ragazza con cui avevo avuto un rapporto. Il mio pene si alzò con due scatti e rimase rigido, ora bastava che tenessi il pensiero fermo su di Anita e tutto sarebbe stato possibile. Sentii lo sciacquone del water e la porta aprirsi.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Si era spogliata. Nuda faceva ancora più schifo. I suoi capezzoli, che non avevo visto l’altra volta, erano due bottoni, troppo grandi per quei seni inesistenti.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Si buttò sul letto. Ebbe anche il coraggio di provare uno scherzetto, se solo avesse immaginato quanta fatica avevo fatto per erigere il monumento che tenevo in mezzo alle gambe!
- Cucù! - disse davanti alla mia faccia, mentre stava in ginocchio sul letto e si reggeva con i pugni sul materasso.
Pensa ad Anita, pensa ad Anita, pensa ad Anita.
Piano piano Iva stava svanendo e Anita prendeva il suo posto. Ora la sua pelle non era più ruvida e oleosa ma liscia, profumata e morbida. I suoi fianchi non erano ossuti ma formavano curve delicate e accomodanti. I suoi capelli erano diventati lunghi e biondi e il suo viso era diventato quello di un angelo con gli occhi neri, quello di Anita.
La baciai, la strinsi forte, strusciai il mio corpo contro il suo. Bellissima Anita, bellissimo amore mio.
Esplosi di piacere dopo pochi minuti. Lei felice rimbalzò sulla parte destra del letto, mi appoggiò la testa sul petto e si addormentò.
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