Il Genio della battuta.
(Racconto di Natale)
Noemi e Lalu si erano diretti vicino
alla stradina. Avrebbero raccolto la neve più soffice e pulita,
appena caduta dai cipressi.L'idea venne a Noemi.
Lalu aveva dimenticato i guanti a casa.
Non poteva tornare a prenderli, per paura che i suoi non lo facessero
uscire di nuovo a giocare con l'amica tra la neve.
Noemi gli diede uno dei suoi.
Raccolsero tanta neve fresca e, come una persona sola, la portarono
al centro del parcheggio dell'ospedale, dove aveva deciso Noemi.
Il primo mucchio servì a poco. Ne
venne una piccola base, piramidale e molliccia. Noemi scuoté la
manina, guardando Lalu con le braccia rigide lungo i fianchi e il
respiro gelato che gli usciva dalla bocca.
Tornarono ai cipressi, raccolsero
ancora un altro mucchio, questa volta più grande. Noemi aveva dato
l'altro guanto a Lalu e gli aveva sistemato le braccia per caricare
la neve. Lalu guardava verso la stradina. Noemi gli parlava mentre
raccoglieva. “Il nostro pupazzo sarà il più bello della città”,
“Dobbiamo solo trovare un telefono per fargli una foto”, “non è
che i tuoi, anche se sono poveri, te ne regaleranno uno per Natale?”,
e continuava, anche se l'amico non le rispondeva. “A me, di certo
no, hanno paura dei maniaci. Voglio dire: che ti potrà mai fare un
maniaco per telefono, se mi rompe, riattacco. No? Ehi, mi stai a
sentire?”.
Il caposquadra alzò lo sguardo e
lasciò cadere un bel mucchio di neve. Si avvicinò al sottoposto.
Un corteo di auto stava arrivando, con
alla testa due volanti della Polizia per fare strada. Il corteo di
grandi auto si fermò. Gli autisti corsero per aprire le portiere
posteriori.
Una fiumana scura percorse la stradina
per l'ospedale. Quando tutte le persone entrarono dentro l'edificio,
due carabinieri sistemarono la bandiera italiana su un'asta, fuori
dall'ingresso. Poi entrarono dentro e chiusero le porte.
Stavano andando all'ultimo spettacolo
del grande Genio della battuta.
Noemi diede una spallata a Lalu e gli
disse: “Accipicchia che musi. Finiamo il nostro pupazzo prima di
pranzo, sbrighiamoci”.
Il Genio aveva iniziato due anni prima.
La prima battuta la scrisse per la morte di un anziano politico in
pensione, poi se la prese con il Governo, la mafia e tutte le altre
istituzioni (sì, pure la mafia). Riscosse un successo
inimmaginabile. Ogni notizia che usciva sui giornali, riportava il
fatto e subito dopo la versione satirica del Genio.
La RAI gli aveva affidato la conduzione
di un programma e ben presto divenne la trasmissione più seguita in
Italia.
Finché, un anno fa, dopo dieci minuti
di diretta, il Genio allargò le braccia, chiedendo silenzio. Abbassò
la testa, mise l'indice alle labbra e disse: “Ho creato la battuta
perfetta, la migliore battuta mai scritta”. Gli spettatori
impazzirono, si alzarono in piedi come dopo un goal ai Mondiali. “Ma
ve la dirò solo al mio ultimo giorno di vita”. Gli spettatori
spalancarono gli occhi. “Ora basta. Sipario”, concluse il Genio.
Fortunatamente il Genio si ammalò
gravemente. Su suo incarico, i dottori dell'ospedale dove era in cura
contattarono le persone da invitare al suo ultimo spettacolo. Quello
in cui avrebbe rivelato la “battuta perfetta, la migliore battuta
mai scritta”.
Sistemarono la sala congressi con al
centro il Genio steso sul suo lettino.
Come da sue ultime volontà, il Genio
avrebbe raccontato la “battuta perfetta, la migliore battuta mai
scritta” al Presidente della Repubblica, questi poi avrebbe avuto
il gravoso incarico di riferirla ai presenti e in diretta TV a tutti
gli italiani ansiosi e desiderosi di gioia.
Il Genio mosse il braccio destro. Era
il segnale. Il Presidente si alzò dalla sua poltroncina e gli si
avvicinò. Il Genio mosse le labbra. Il Presidente chinò il capo,
per avvicinarlo alla bocca del Genio.
Il Genio mosse rapidamente le labbra,
poi sorrise, tossì e chiuse la bocca. Per sempre.
Il Presidente si drizzò di scatto. I
suoi occhi divennero piccoli, dietro le lenti degli occhiali.
Unì l'indice e il pollice e,
balzellando sulle punte dei piedi, con voce solenne disse: “Non
sono riuscito a capire un cazzo!”.
Alle persone presenti e a tutti gli
italiani in diretta, fu come se avessero strappato l'anima dal corpo.
Sentirono un forte bisogno d'aria. I presenti al capezzale del Genio
andarono verso le finestre, quasi simultaneamente, come richiamati.
Lasciarono lì il presidente e il corpo del Genio.
Fiocchi di neve stavano cominciando a
scendere da un cielo d'asfalto. Nel parcheggio due bambini
terminavano uno pupazzo di neve. Il più piccolo, con un dito, stava
disegnando il sorriso.