venerdì 28 novembre 2008
mercoledì 26 novembre 2008
un urlo all'improvviso
stanotte ho sentito urlare
e sono uscito di casa
ho visto che piovevano
dal cielo i sogni miei
per strada c’era un bambino
che giocava e vicino a lui
un mago indaffarato
accendeva le candele blu
mi ha dato una candela
e mi ha detto “soffia forte”
vedrai che questa notte
non finirà mai più
ho attraversato il muro
che divide la realtà
ci ho lasciato un sassolino
per ricordarmi che senso ha
ma un colpo di cannone
ha distrutto la città
le case i muri e i sogni
sono crollati giù
anche il mio sassolino
è finito dentro al fiume
lo cerco di continuo
ma non lo ritrovo più
"
e sono uscito di casa
ho visto che piovevano
dal cielo i sogni miei
per strada c’era un bambino
che giocava e vicino a lui
un mago indaffarato
accendeva le candele blu
mi ha dato una candela
e mi ha detto “soffia forte”
vedrai che questa notte
non finirà mai più
ho attraversato il muro
che divide la realtà
ci ho lasciato un sassolino
per ricordarmi che senso ha
ma un colpo di cannone
ha distrutto la città
le case i muri e i sogni
sono crollati giù
anche il mio sassolino
è finito dentro al fiume
lo cerco di continuo
ma non lo ritrovo più
"
lunedì 24 novembre 2008
bozza 4 capitolo
X MARIA LUISA, SARA, ALDO E GIOVANNI
ciao amici, leggete per favore e fatemi sapere cosa ne pensate.
baci e abbracci
Mauro
.....
Il Pulce mi passò a prendere alle dieci.
- stasera festeggiamo il tuo compleanno ti porto in un posticino che vedrai ti piacerà.
Mi disse che era una sala da ballo e già mi vedevo una pista piena di rincoglioniti zampettanti, con i capelli come la coda dei fagiani, le camicie dalle cromie chiassose e donne mature e abbronzate traboccanti dalla voglia di tradire i mariti.
- una balera del cazzo? - feci al Pulce.
- diciamo più che altro l’università del ballo - mi rispose ridendo.
Il Pulce si fermò ad ogni bar che trovammo lungo la strada, per i primi tre lo assecondai, poi rimasi in auto con la testa che mi dondolava avanti e dietro per la vodka, il cuba libre e il gin tonic. Lui continuò ad entrare ed uscire dai bar che costeggiavano la provinciale, piazzati come torrioni all’entrate delle frazioni che stavamo attraversando per arrivare alla nostra destinazione.
Frazioni, paeselli, cumuli di case, dai nomi come le facce dei loro abitanti: Trecase, Case nuove, case Bruciate. Dall’ultimo bar uscì con una bottiglia di limoncello che stava sorseggiando prima di entrare in auto, me l’appoggiò tra le gambe, mi guardò con gli occhi rossi come uno che aveva pianto per un’ora.
- vamos a bailar – ed entrò faticosamente in auto spingendosi in avanti con il suo pancione.
Arriviamo in questo posto girando per l’insegna di un hotel a tre stelle il Duca, entriamo nel parcheggio dell’hotel e proseguiamo ancora fino al retro. Il Club del Duca. Aveva l’entrata come un ristorante di pesce lungomare nel periodo fuori stagione. Passiamo in mezzo alle cassette di plastica per l’acqua, scendendo due rampe di scale, ci troviamo di fronte ad una porta a vetri scura. Entriamo. Un’altra porta di vetro e davanti ad un tavolo con un computer un uomo con un abito scuro. Il tipo doveva sembrare come uno di quei gorilla che stanno alle porte dei club, quegli scimmioni col naso da pugile, il cranio rasato e i muscoli che gonfiano camice di raso nero legate sul collo con cravatte dai colori accesi. Era però incredibilmente basso, al punto di sparire, quando si metteva dietro al computer.
- Buona sera signore - disse al Pulce il nanetto.
- ciao bello, – rispose con una pacca sulla spalla sinistra del tipo e la sigaretta tra le labbra.
Aveva fretta, voleva entrare, voleva ballare, strano perché proprio non mi ricordavo che gli piacesse ballare, anzi.
Il Pulce, ridendo, gli diede un buffetto, lo cinse alle spalle con il braccio destro e mi indicò,
- lo sai Manuel chi è questo ragazzo?
- me lo ricordi signor Buffi
- lui è il signor Bottarga, il figlio dell’industriale del tonno.
Era nel suo stile, fingere di avere amici importanti, industriali, consulenti della new economy, non diceva mai di conoscere il Micio, il Polacco e tutta l’allegra marmaglia del nostro bar.
- benissimo, allora immagino non ci sarà bisogno della registrazione. – rispose il piccolo gorilla
- Ecco bravo.
Il Pulce era entrato, superando l’ultima porta di vetro con un paio di passi di mazurca.
Prima di entrare Manuel mi ostacolò mettendomi una mano sul petto
- Signor Bottarga o chi cazzo sei, se fate qualche casino vi spacco le gambe.
Il locale era molto piccolo, davanti a noi un corridoio con a destra il bancone del bar dove stavano appoggiati un paio di uomini e sulla sinistra una saletta con quattro poltroncine sistemate davanti al bagno. Qualche metro più avanti una pista quadrata, con le piastrelle di vetro, dove stava ballando un ometto con i pantaloni grigi, gli occhialini da vista con le lenti scure e la giacca blu con una patacca da marinaio, avvinghiata a lui una stangona mora che lo applaudiva ad ogni sua piroetta.
- Prendi da bere e aspetta sulle poltroncine davanti al bar.
Mi sedetti con il mano il cuba libre quando una ragazza vestita di un abitino corto grigio e pieno di luccichini, mi venne a sedere vicino.
- ciao, il tuo amico mi manda per te
doveva essere la mia insegnate di ballo, ma con quei tacchi a spillo la cosa mi parve alquanto bizzarra.
- ah sì, lui pensa che debba avere bisogno di qualche lezione, io gli ho detto che non m’interessa particolarmente ma lui ha insistito.
Prese il mio rhum e cola appoggiò le labbra al bicchiere e tirò fuori la lingua e mi guardo dritta coi suoi occhi che sembravano due praline al cioccolato.
- Bhe è un buon amico se ti fa questo regalo, a te non piacciono le belle ragazze?
Cazzo tutto stava filando, altro che lezioni di ballo, il Pulce mi aveva portato al night.
L’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era chiacchierare del più e del meno con una che non gliene fregava niente di me, ma solo delle consumazioni che le offrivo. Quindi le ricambiai lo sguardo, le sorrisi e le dissi che ero senza soldi.
- Ti dico le cose come stanno, al massimo posso offrirti una sigaretta.
- Non hai capito, il tuo amico ha pagato per tutto.
- Per tutto cosa? - Gli chiesi stupito.
- Esci, sali in hotel e chiedi al portiere la chiave della camera 26.-
Mi disse, prima di alzarsi e camminare verso la porta in fondo al corridoio. La osservai scivolare attraverso i corpi dei clienti, che si voltavano a lasciare gli occhi e diversi sogni appiccicati alle chiappe del suo sedere perfetto, mentre lei, leggera come una ninfa che cammina sull’acqua, non si curava di loro, ma andava dritta e sicura verso la nostra camera, la 26.
Il puzzle si stava componendo, prendete un night, belle ragazze, vecchi a volontà e aggiungeteci il Pulce, ecco il risultato: un bordello.
Non potevo però rifiutare il suo regalo, avrei rischiato di essere deriso per tutta la vita se non addirittura cacciato a calci nel culo dal bar.
Decisi di andare a vedere, in fondo avevo troppo bisogno di svago e una scopata con una cavalla da monta del genere mi avrebbe sicuramente fatto bene.
- fai il bravo con Lina, o ti rompo il culo - mi minacciò di nuovo quel miniessere del gorilla nano. Cominciava proprio a starmi nelle palle.
- limitati al buongiorno e buonasera piccoletto –
Avete presente l’uomo da se milioni di dollari? La forza di questo minuscolo scherzo della natura ne doveva valere almeno dodici. Mi prese con le mani sulle spalle e mi sbatté al muro, tenendomi su. In quella condizione, con i piedi ciondolanti le braccia bloccate e il grugno del buttafuori davanti alla faccia, avevo solo voglia di dirgli che ero un poliziotto in borghese che indagava su un traffico di stupefacenti e che lui era un amico e anzi, gli sarei stato grato se mi avesse aiutato nelle indagini ed io in cambio lo avrei proposto per un riconoscimento pubblico.
Ma non potevo, ormai per lui ero tale Bottarga, figlio di qualche industrialotto del tonno e lui doveva proprio odiarlo il tonno, forse per colpa di diete da palestra troppo rigide che ti privano di sugose bistecche con il grasso croccante e di piatti a non finire di patate fritte. No, il tonno non fu una buona scelta, ci doveva pensare il Pulce che lui non lo avrebbe digerito.
- che numero di camera ti ha detto Lina?
- la 26
- adesso ti accompagno io, e farò di più, starò fuori dalla porta, così invece di spassartela serenamente, penserai a me che ti aspetto per suonartele.
Si fece dare lui la chiave della camera dal portiere e mi strattonò per un braccio fino alla camera.
- se le dici che sono qui fuori per te sono guai
Mi aprì la porta e mi spinse dentro con forza.
......
ciao amici, leggete per favore e fatemi sapere cosa ne pensate.
baci e abbracci
Mauro
.....
Il Pulce mi passò a prendere alle dieci.
- stasera festeggiamo il tuo compleanno ti porto in un posticino che vedrai ti piacerà.
Mi disse che era una sala da ballo e già mi vedevo una pista piena di rincoglioniti zampettanti, con i capelli come la coda dei fagiani, le camicie dalle cromie chiassose e donne mature e abbronzate traboccanti dalla voglia di tradire i mariti.
- una balera del cazzo? - feci al Pulce.
- diciamo più che altro l’università del ballo - mi rispose ridendo.
Il Pulce si fermò ad ogni bar che trovammo lungo la strada, per i primi tre lo assecondai, poi rimasi in auto con la testa che mi dondolava avanti e dietro per la vodka, il cuba libre e il gin tonic. Lui continuò ad entrare ed uscire dai bar che costeggiavano la provinciale, piazzati come torrioni all’entrate delle frazioni che stavamo attraversando per arrivare alla nostra destinazione.
Frazioni, paeselli, cumuli di case, dai nomi come le facce dei loro abitanti: Trecase, Case nuove, case Bruciate. Dall’ultimo bar uscì con una bottiglia di limoncello che stava sorseggiando prima di entrare in auto, me l’appoggiò tra le gambe, mi guardò con gli occhi rossi come uno che aveva pianto per un’ora.
- vamos a bailar – ed entrò faticosamente in auto spingendosi in avanti con il suo pancione.
Arriviamo in questo posto girando per l’insegna di un hotel a tre stelle il Duca, entriamo nel parcheggio dell’hotel e proseguiamo ancora fino al retro. Il Club del Duca. Aveva l’entrata come un ristorante di pesce lungomare nel periodo fuori stagione. Passiamo in mezzo alle cassette di plastica per l’acqua, scendendo due rampe di scale, ci troviamo di fronte ad una porta a vetri scura. Entriamo. Un’altra porta di vetro e davanti ad un tavolo con un computer un uomo con un abito scuro. Il tipo doveva sembrare come uno di quei gorilla che stanno alle porte dei club, quegli scimmioni col naso da pugile, il cranio rasato e i muscoli che gonfiano camice di raso nero legate sul collo con cravatte dai colori accesi. Era però incredibilmente basso, al punto di sparire, quando si metteva dietro al computer.
- Buona sera signore - disse al Pulce il nanetto.
- ciao bello, – rispose con una pacca sulla spalla sinistra del tipo e la sigaretta tra le labbra.
Aveva fretta, voleva entrare, voleva ballare, strano perché proprio non mi ricordavo che gli piacesse ballare, anzi.
Il Pulce, ridendo, gli diede un buffetto, lo cinse alle spalle con il braccio destro e mi indicò,
- lo sai Manuel chi è questo ragazzo?
- me lo ricordi signor Buffi
- lui è il signor Bottarga, il figlio dell’industriale del tonno.
Era nel suo stile, fingere di avere amici importanti, industriali, consulenti della new economy, non diceva mai di conoscere il Micio, il Polacco e tutta l’allegra marmaglia del nostro bar.
- benissimo, allora immagino non ci sarà bisogno della registrazione. – rispose il piccolo gorilla
- Ecco bravo.
Il Pulce era entrato, superando l’ultima porta di vetro con un paio di passi di mazurca.
Prima di entrare Manuel mi ostacolò mettendomi una mano sul petto
- Signor Bottarga o chi cazzo sei, se fate qualche casino vi spacco le gambe.
Il locale era molto piccolo, davanti a noi un corridoio con a destra il bancone del bar dove stavano appoggiati un paio di uomini e sulla sinistra una saletta con quattro poltroncine sistemate davanti al bagno. Qualche metro più avanti una pista quadrata, con le piastrelle di vetro, dove stava ballando un ometto con i pantaloni grigi, gli occhialini da vista con le lenti scure e la giacca blu con una patacca da marinaio, avvinghiata a lui una stangona mora che lo applaudiva ad ogni sua piroetta.
- Prendi da bere e aspetta sulle poltroncine davanti al bar.
Mi sedetti con il mano il cuba libre quando una ragazza vestita di un abitino corto grigio e pieno di luccichini, mi venne a sedere vicino.
- ciao, il tuo amico mi manda per te
doveva essere la mia insegnate di ballo, ma con quei tacchi a spillo la cosa mi parve alquanto bizzarra.
- ah sì, lui pensa che debba avere bisogno di qualche lezione, io gli ho detto che non m’interessa particolarmente ma lui ha insistito.
Prese il mio rhum e cola appoggiò le labbra al bicchiere e tirò fuori la lingua e mi guardo dritta coi suoi occhi che sembravano due praline al cioccolato.
- Bhe è un buon amico se ti fa questo regalo, a te non piacciono le belle ragazze?
Cazzo tutto stava filando, altro che lezioni di ballo, il Pulce mi aveva portato al night.
L’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era chiacchierare del più e del meno con una che non gliene fregava niente di me, ma solo delle consumazioni che le offrivo. Quindi le ricambiai lo sguardo, le sorrisi e le dissi che ero senza soldi.
- Ti dico le cose come stanno, al massimo posso offrirti una sigaretta.
- Non hai capito, il tuo amico ha pagato per tutto.
- Per tutto cosa? - Gli chiesi stupito.
- Esci, sali in hotel e chiedi al portiere la chiave della camera 26.-
Mi disse, prima di alzarsi e camminare verso la porta in fondo al corridoio. La osservai scivolare attraverso i corpi dei clienti, che si voltavano a lasciare gli occhi e diversi sogni appiccicati alle chiappe del suo sedere perfetto, mentre lei, leggera come una ninfa che cammina sull’acqua, non si curava di loro, ma andava dritta e sicura verso la nostra camera, la 26.
Il puzzle si stava componendo, prendete un night, belle ragazze, vecchi a volontà e aggiungeteci il Pulce, ecco il risultato: un bordello.
Non potevo però rifiutare il suo regalo, avrei rischiato di essere deriso per tutta la vita se non addirittura cacciato a calci nel culo dal bar.
Decisi di andare a vedere, in fondo avevo troppo bisogno di svago e una scopata con una cavalla da monta del genere mi avrebbe sicuramente fatto bene.
- fai il bravo con Lina, o ti rompo il culo - mi minacciò di nuovo quel miniessere del gorilla nano. Cominciava proprio a starmi nelle palle.
- limitati al buongiorno e buonasera piccoletto –
Avete presente l’uomo da se milioni di dollari? La forza di questo minuscolo scherzo della natura ne doveva valere almeno dodici. Mi prese con le mani sulle spalle e mi sbatté al muro, tenendomi su. In quella condizione, con i piedi ciondolanti le braccia bloccate e il grugno del buttafuori davanti alla faccia, avevo solo voglia di dirgli che ero un poliziotto in borghese che indagava su un traffico di stupefacenti e che lui era un amico e anzi, gli sarei stato grato se mi avesse aiutato nelle indagini ed io in cambio lo avrei proposto per un riconoscimento pubblico.
Ma non potevo, ormai per lui ero tale Bottarga, figlio di qualche industrialotto del tonno e lui doveva proprio odiarlo il tonno, forse per colpa di diete da palestra troppo rigide che ti privano di sugose bistecche con il grasso croccante e di piatti a non finire di patate fritte. No, il tonno non fu una buona scelta, ci doveva pensare il Pulce che lui non lo avrebbe digerito.
- che numero di camera ti ha detto Lina?
- la 26
- adesso ti accompagno io, e farò di più, starò fuori dalla porta, così invece di spassartela serenamente, penserai a me che ti aspetto per suonartele.
Si fece dare lui la chiave della camera dal portiere e mi strattonò per un braccio fino alla camera.
- se le dici che sono qui fuori per te sono guai
Mi aprì la porta e mi spinse dentro con forza.
......
venerdì 21 novembre 2008
Sul carso
Ascolto
nelle grondaie piene di vento
una voce
che a volte sembra lamento
dopo un ora di viaggio in carro
tra il grano e le cicale
preferisco lo sbadiglio di questo cane
che parla coi suoi occhi e pare dire
- fermati un istante prima di morire –
il ricordo
è negli scarponi di chi viaggia
solo con un paio di mani vuote
come la luce della luna
in questa campagna desolata
piene di questo fucile
che non può dormire
la polvere che secca le pupille
il vento che la tira addosso
sembra spingerci più dietro
sembra tirarci via dal male
di questa collina da superare
di questa notte che vuole finire.
a mio nonno
nelle grondaie piene di vento
una voce
che a volte sembra lamento
dopo un ora di viaggio in carro
tra il grano e le cicale
preferisco lo sbadiglio di questo cane
che parla coi suoi occhi e pare dire
- fermati un istante prima di morire –
il ricordo
è negli scarponi di chi viaggia
solo con un paio di mani vuote
come la luce della luna
in questa campagna desolata
piene di questo fucile
che non può dormire
la polvere che secca le pupille
il vento che la tira addosso
sembra spingerci più dietro
sembra tirarci via dal male
di questa collina da superare
di questa notte che vuole finire.
a mio nonno
martedì 18 novembre 2008
Tania
Ero soprapensiero, feci solo correre le dita sulla tastiera. Lo sguardo fissava il vuoto in un punto indefinito. Ogni tanto col pollice toccavo la barra spaziatrice. Non mi ricordo quando cominciai, fu per curiosità dopo aver visto un Dvd che parlava di certi fenomeni paranormali. Il film non era un granché, però l'argomento era interessante. Uno di quelli da provare subito. Quindi cominciai a battere i tasti senza guardare quello che stavo scrivendo, intervallando ogni tanto, il flusso di lettere, col pollice sulla barra spaziatrice. Potete facilmente provare anche voi.
Allora un esempio:
skoneoiM cajròelk vpixsl sjuktao dnaek laldawnin o jml ilwlolòeà adsspaallòaltkoj.
Chiaramente non è quello che scrissi quel giorno, non me lo potrei ricordare, mi ricordo invece quello che venne fuori dalla scrematura che feci.
"Sono Tania, vissuta a Donesk, vengo sempre con te."
Difficile da credersi, lo immagino, infatti ad una prima lettura i caratteri sembravano solo indecifrabili, poi..
Ho cominciato a guardare meglio e copiando e incollando un carattere sì e uno no, veniva fuori quella frase precisa.
Altre volte ho scritto ed altre volte ho avuto risposta. Non ho mai chiesto a Tania del futuro perché lei mi ha detto che conosce solo il passato e il presente.
Non sa perché mi deve stare vicina, sente di doverlo fare e basta.
Una volta mi ha detto il suo cognome, ho cercato su internet e c'era una foto di una bambina con i capelli biondi, legati dietro la testa da due trecce. Lo sguardo, un po' spaventato e fisso verso l'obiettivo. Sotto la foto due date, una di nascita e l'altra di morte.
L'altra sera c'era il temporale, un tuono mi ha svegliato. Sono andato a chiudere la finestra ed ho visto la luce del monitor in salotto. Sono andato per spegnere il computer e nella pagina di word c'erano ancora caratteri. Li ho tradotti, come avevo imparato: "ciao, devo andare, è il momento", dissi: "non lasciarmi solo!", poi scrissi sulla tastiera per ricevere risposta da Tania. Scrissi la frase che ho riportato in alto come esempio.
Allora un esempio:
skoneoiM cajròelk vpixsl sjuktao dnaek laldawnin o jml ilwlolòeà adsspaallòaltkoj.
Chiaramente non è quello che scrissi quel giorno, non me lo potrei ricordare, mi ricordo invece quello che venne fuori dalla scrematura che feci.
"Sono Tania, vissuta a Donesk, vengo sempre con te."
Difficile da credersi, lo immagino, infatti ad una prima lettura i caratteri sembravano solo indecifrabili, poi..
Ho cominciato a guardare meglio e copiando e incollando un carattere sì e uno no, veniva fuori quella frase precisa.
Altre volte ho scritto ed altre volte ho avuto risposta. Non ho mai chiesto a Tania del futuro perché lei mi ha detto che conosce solo il passato e il presente.
Non sa perché mi deve stare vicina, sente di doverlo fare e basta.
Una volta mi ha detto il suo cognome, ho cercato su internet e c'era una foto di una bambina con i capelli biondi, legati dietro la testa da due trecce. Lo sguardo, un po' spaventato e fisso verso l'obiettivo. Sotto la foto due date, una di nascita e l'altra di morte.
L'altra sera c'era il temporale, un tuono mi ha svegliato. Sono andato a chiudere la finestra ed ho visto la luce del monitor in salotto. Sono andato per spegnere il computer e nella pagina di word c'erano ancora caratteri. Li ho tradotti, come avevo imparato: "ciao, devo andare, è il momento", dissi: "non lasciarmi solo!", poi scrissi sulla tastiera per ricevere risposta da Tania. Scrissi la frase che ho riportato in alto come esempio.
martedì 11 novembre 2008
Così forte
Mai arrivò così forte
a battere il petto
e mi sembrò che il tempo
non fosse più tempo.
Sentivo solo fischiare il treno a nord
come sempre,
imperturbabilmente,
come la morte
o la certezza di un bacio
dopo il sì detto di cuore.
Vorrei invitarti
a litigare le parole dentro di me,
vedrai cosa uscirà da questo strano uomo.
Prenderanno il volo i monosillabi,
sbocceranno onomatopeici “come?”
dai profumi primaverili.
E dagli eterei incontri
delle api e fiori
ci verrà vicino l’insegnamento
per durare un giorno dopo l’altro
così forte ancora.
a battere il petto
e mi sembrò che il tempo
non fosse più tempo.
Sentivo solo fischiare il treno a nord
come sempre,
imperturbabilmente,
come la morte
o la certezza di un bacio
dopo il sì detto di cuore.
Vorrei invitarti
a litigare le parole dentro di me,
vedrai cosa uscirà da questo strano uomo.
Prenderanno il volo i monosillabi,
sbocceranno onomatopeici “come?”
dai profumi primaverili.
E dagli eterei incontri
delle api e fiori
ci verrà vicino l’insegnamento
per durare un giorno dopo l’altro
così forte ancora.
lunedì 10 novembre 2008
Uccello Libero
Una volta sapevo volare
in stormo, col gruppo
vedevo gli altri dall’alto
piccoli e inutili,
diventava tutto un solo pensiero
inutile il mondo,
c’era solo l’entusiasmo del volo
poi sono caduto
mi sono perduto
mi sono fermato
mi sono tagliato le ali
per la paura di cadere di nuovo
li vedo spesso passare
come ombre felici
a volte li inseguo
con le braccia spiegate
correndo sul campo di grano
a volte salgo sul pero,
Marco mi vede e saluta
le mie piume tremano ancora
pensando a quella vita
di evoluzioni nel cielo.
in stormo, col gruppo
vedevo gli altri dall’alto
piccoli e inutili,
diventava tutto un solo pensiero
inutile il mondo,
c’era solo l’entusiasmo del volo
poi sono caduto
mi sono perduto
mi sono fermato
mi sono tagliato le ali
per la paura di cadere di nuovo
li vedo spesso passare
come ombre felici
a volte li inseguo
con le braccia spiegate
correndo sul campo di grano
a volte salgo sul pero,
Marco mi vede e saluta
le mie piume tremano ancora
pensando a quella vita
di evoluzioni nel cielo.
Iscriviti a:
Post (Atom)