giovedì 12 novembre 2009

V.M. 18

Valerio M. 18 anni

Entro in casa sua, mi aveva cercato nel pomeriggio, era la prima volta questa settimana. Sta ascoltando e cantando la sua canzone preferita “Sin la fine tu trascini la nuestra vida, sin un attimo de rrespiro na na na na mano grandes, mano sin la fine” *. Lei è in cucina che scalda il piatto e mi sorride invitandomi ad entrare: ”Hola amor, prepara el nostro cocktail intanto!”. Il nostro cocktail , alla faccia del succo alla pera! prendo il rhum e sei bicchierini, li riempio e li metto in fila sulla tavola. Arriva Maria col piatto caldo, “Adesso ci facciamo el nostro Way-coca amor!”. La taglia, la stende sul piatto e come al solito mi chiede una tessera per schiacciarla. Mi sono iscritto ad una videoteca per avere una tessera nuova e farci mettere una mia foto decente, quella che usavo prima era la tessera dell’autobus scaduta di due anni prima e ogni volta che Maria la usava mi ripeteva “che nino amor aqui!” mettendomi sempre in imbarazzo.
Sì, lei è più grande di me, avrà il doppio dei miei anni, ma io non posso smettere di pensarla. Iniziamo. Ci sono sei “spari” e sei bicchieri di rhum sopra la tavola. Un rigo, un bicchiere, un rigo, un bicchiere e così un altro ancora. Siamo fatti, entra dentro che è una meraviglia, l’euforia ci fa abbracciare e comincio a baciare Maria, la appoggio al tavolo e le alzo la sottoveste nera, lei con le sua gambe lisce e nude mi cinge la vita, stringendomi tanto da impedirmi qualsiasi movimento. Mi dice: ”Prima fammi el servizio amor, te atende al solito puesto, la rroba è in bagno”.
Non dico una parola, le do un colpetto sulla coscia come segno d’intesa, lei apre le gambe e corro in bagno, alzo quinta la mattonella della seconda fila, quella più nascosta, lontana dalla finestra e dal termosifone.
C’è la scatola di Romeo & Juliet piena di involucri contenenti cocaina già tagliata dalla mano sapiente di Maria, circa 300 grammi x 10.000 euro di valore. Ho sognato mille volte di sposare Maria, aiutarla nel lavoro e mettere via un bel gruzzolo per andare a vivere con lei ai caraibi. Mi ha parlato spesso di un mare senza alghe, dei cocktail con il vino e la frutta e delle feste che si fanno in quei posti, altro che questa vigliacca periferia ingrata! Esco dal bagno e ritorno in cucina, Maria mi dice: ”Estai atento amor” e mi mette in mano una pistola “E’ carica” aggiunge.
Non avevo mai tenuto un cannone in mano, non sapevo nemmeno dove metterlo, avevo paura che mi partisse un colpo sulle palle, così lo tengo nella tasca interna del giubbetto.
Il solito servizio consiste nell’andare al parco, sedersi sull’unica panchina non illuminata e aspettare un tizio che mi chiama con un cenno, seguirlo, scambiare i pacchi, controllarne il contenuto e tornare da Maria a fare l’amore. Non capisco il bisogno della pistola. Sono arrivato in orario, di solito il tipo è puntuale, ma oggi non si vede, aspetterò ancora dieci minuti poi andrò via, ho addosso troppa roba e si sta facendo tardi. Quando sento:”Ehi tu! mani in alto polizia!” cazzo! sono fottuto! il tipo viene verso di me con la pistola puntata, io infilo la mano nella tasca interna del bomber per togliere il cannone e buttarlo via prima che me lo veda. Come tiro fuori la pistola lo sbirro mi vede “Mettila a terra stronzo! vuoi morire? hai scelto oggi come giorno per morire? non fare scherzi ragazzino, mettila giù!” La mia mano inizia a tremare tanto che involontariamente premo il grilletto “Click!” per fortuna era scarica, ma il poliziotto non se ne accorge e d’istinto mi spara, vedo una fiamma uscire dalla sua mano e sento un gran bruciore sotto l’occhio sinistro e un sibilo fortissimo che mi rimbomba nelle orecchie. Non ho le forze, cado in ginocchio, e poi in avanti, sono a terra.
Il sangue caldo sta affogando i miei occhi, le dita dei piedi e delle mani stanno diventando di ghiaccio. In questi momenti ti dovrebbe passare tutta la vita davanti, io vedo solo Maria. Avrei voluto darle un altro bacio.
Sento la voce del poliziotto “Povero stronzo la tua puttana ti ha venduto!”, mentre mi mette una mano nel giubbetto per cercare la roba, ma io non ci credo, lei mi ama io sono il suo “amor”. Il mio cuore ha continuato a battere un altro minuto in più, solo per lei.

*scusa Gino

giovedì 5 novembre 2009

Umbria, geografie del mistero



- Umbrialibri 2009 -
Perugia, ex chiesa S. Maria della misericordia domenica 15 Novembre ore 10.30,
Presentazione del volume: "Umbria, geografie del misteto" a cura dello scrittore Giovanni Pannacci

Nel volume è stato inserito un mio racconto noir:
"La regina d'Inghilterra"

Incipit
La Regina d’Inghilterra.

Se fosse stata nella sua Liverpool, Alice Branagan, non avrebbe avuto alcuna difficoltà nel trovare la sua marca preferita, i Night shop, degli immigrati indiani, ne tenevano sempre una certa scorta.
Dove si trovava adesso, in quel mini market nel centro di Perugia, cercare una Carling Gold River era un’impresa pressoché impossibile. Davanti ai suoi occhi troneggiavano, infatti, tre marche di birra italiana, dal gusto troppo amaro per il suo palato anglosassone, svariate lattine di birra chiara tedesca troppo leggere per il suo giovane fegato inglese bisognoso d’alcool e varie bottiglie di vino, decisamente troppo care per le su tasche di studentessa Erasmus.
Si arrotolò una ciocca dei suoi biondi capelli, fingendo di controllarseli sullo specchio antitaccheggio e si avviò alla cassa mostrando solo un pacchetto di gomme da masticare.

lunedì 12 ottobre 2009

Strano amico

Era un amico, se così si può definire, molto particolare. La persona più conformista che si potesse conoscere.
C’incontrammo ad una festa dove nessuno dei due conosceva i padroni di casa e molti degli altri partecipanti. In verità io non conoscevo nessuno in quanto chi mi aveva invitato non era venuto.
Una di quelle feste tipo open house dove la gente di quel tempo portava altra gente e via discorrendo, dove si beveva, si parlava di filosofia, di politica e si rimaneva in silenzio, col bicchiere di plastica in mano, ascoltando quello che aveva la parlantina migliore. Roba da universitari insomma.
Avevo nella mano destra uno spritz che mi aveva preparato una ragazza conosciuta quella sera. A prima vista sembrava carina, una chiacchiera tutta entusiasta, grandi occhi azzurri che ruotavano nelle orbite. Veramente un bel paio d’occhi. Però poi sorrise un po’ troppo di gusto ad una mia battuta. In effetti quella battuta faceva ridere sempre, le ragazze si sganasciavano quando la raccontavo e allora la usavo sempre per fare colpo. Come faceva? Bho ora non me la ricordo più però era un bel cazzo di battuta da far svenire dalle risate. La ragazza, dicevo, si sganasciò pure lei e mi mostrò quello schifo che aveva in bocca. Una roba! Denti piccoli e gengive grandi. Provai anche a superare la cosa ma non ci riuscii. Dovevate vederla. Un mulo. Pensai al poveraccio che l’avrebbe sposata. Pensate al mattino. “buongiorno amore” appena sveglio e guardi la donna che ti sta al fianco. Fortunatamente un ragazzo con gli occhiali e pettinato male pensò bene di chiederle un altro spritz così riuscii a levarmela di torno. Quello spritz del resto faceva pure schifo perché lei, la gengivona, non metteva mai più di un dito di prosecco. Che roba. Solo una con quei denti poteva pensare una cosa del genere.
Ero al tavolo a cercare una bottiglia di prosecco per aggiungerne altre due dita quando sentii per la prima volta la sua voce.
- Assaggi il mio negroni, lo spritz della signorina Annika è buono ma secondo me gli mancano due dita di prosecco.
Ci capimmo subito. Si scusò per non essersi presentato e mettendosi una mano sul petto mi disse che si chiamava Oliver ma tutti lo chiamavano Doc. Anche a me avevano affibbiato un soprannome all’università, ma non glielo dissi. Mi faceva schifo il mio soprannome. Il matto. “Attenti arriva il matto”, “Guarda che occhi”. Lasciavo scie di risatine da ragazze che tenevano al petto libri pieni di porcherie universitarie e ragazzi con vestiti puliti e ben rasati. Non gli chiesi perché lo chiamassero Doc, ovviamente pensai che si fosse già laureato, era sicuramente più vecchio di me quel precisino, ma non glielo chiesi perché non volevo che si entrasse nell’argomento università. In effetti per me quegli anni erano uno schifo. Che roba.
Quando studi lettere e filosofia ti possono capitare due cose. O ti laurei subito e macini esami come una falciatrice il fieno o ti inquieti e dai di matto perché è quella stronza filosofia che ti porta a dare di matto, almeno a me. Però con lui restai sul vago ogni volta che si entrava nell’argomento. “Sì è ok!”, “Sai si studia”, “Shopenhauer è una forza, ma parliamo delle ragazze hai visto quella con le tette rifatte?”. Cambiavo argomento, mi sembrava la cosa più giusta da fare. Uno perché sono fatti miei. Due bho!, insomma non ci deve essere sempre una spiegazione per tutto non vi pare?
Anche lui prima di arrivare là non conosceva nessuno ma dopo una mezz’oretta già dava pacche sulle spalle a Rodrigo e Marcel i due affittuari dell’appartamento e scambiava battute di riferimento con chi incontrava. Quella stessa sera mi disse che, se per me andava bene, ci saremmo rivisti il giorno dopo a casa mia, “ok” gli dissi e tracannai il bicchiere tutto d’un fiato. Che roba quel negroni era proprio buono.

Quel periodo avevo un hobby. I due ragazzi che dividevano l’appartamento con me, un ubriacone che veniva dal Veneto e un romano che puzzava da morire, che schifo dovevate sentire che puzza veniva dalla sua stanza. Una roba. Quei due malati mentali, dicevo, avevano installato una tv satellitare e con una scheda pirata riuscivano a vedere le partite di calcio. Li dovevate vedere. Uno con gli occhi rossi che beveva vino e smadonnava in veneziano e lo sporcone stendeva le gambe coi suoi calzini sudici sul mobiletto. Guardavano ogni tipo di partita. Calcio serie A, Calcio primavera, calcio dilettanti, calcio serie B, C, D e tutto il resto, anche le repliche e le trasmissioni di stupidi sgrammaticati con pochi capelli in testa che mostravano moviole di pallosissime azioni di gioco e scosciate giovani donne. Ogni volta che aprivo i libri sentivo la telecronaca di una stupida partita che m’infastidiva. Mi ero proprio stancato di mettermi seduto, aprire il libro, leggere, ripetere e poi non ricordarmi niente di quello che avevo letto e ripetuto perché in sottofondo sentivo sempre quelle interminabili telecronache con un tale con la voce monocorda e un altro che sbagliava i congiuntivi e rideva istericamente. Chiusi i libri e mi avvicinai ai miei due coinquilini. “Chi gioca?” gli domandai.
Era la replica di una partita di serie A. Non mi chiedete i nomi delle squadre, perché non me li ricordo, ah sì forse una era il Lazio o Firenze..bho! Comunque mi misi dietro ai due e ascoltai i loro commenti, mi divertivo un sacco. I giocatori avevano nomi bellissimi, nomi epici da leggere sui libri di storia, nomi di eroi. Quando un giocatore che aveva un bel nome prendeva palla io chiedevo “E’ un giocatore forte questo?” Il veneziano rispondeva “Uelà!” e il romano ripeteva sempre nello stesso modo ben scandito ed a voce alta il cognome, il nome, due punti “ha militato nella Lodigiani, nel Como,….” Ah Ah, sapeva tutto. Anche i goal che il giocatore aveva realizzato in carriera. Incredibile. Che roba. Da perderci la testa. Poi vedevo che oltre i giocatori delle due squadre c’erano anche altri uomini in campo. Gli chiedevo chi fossero e lui schifato “è l’arbitro Rombon di San Donà esordio in serie A il ..”, pure l’arbitro aveva il nome da eroe. “E gli altri due con la bandiera in mano che corrono come granchi? Come si chiamano?”. Alla mia richiesta strizzò le labbra e scosse la testa. Non sapeva i nomi dei guardalinee. Era fantastico perché, con un cognome idiota come il mio, avrei potuto lo stesso fare il guardalinee. Avevo un hobby dicevo, giusto. No, di questo stupido gioco del pallone me ne dimenticai appena i due ragazzi se ne andarono. In effetti un po‘ mi mancano anche se puzzavano e vomitavano per casa.
CONTINUA

mercoledì 7 ottobre 2009

Super Sayan

A volte capita che anche una frase semplice, diretta, ma detta dalla persona giusta, abbia il potere di cambiarti l’umore, anche se si tratta del solo ricordo di quella frase.
Sinceramente mi capita spesso di svegliarmi già nervoso, andare al bar della statale per un caffé e un pacchetto di Camel e di ritrovarmi a pagare con l’agitazione che fa tremare le mani.
Mi è successo anche stamattina. Avevo il portafogli in mano ed ero in fila alla cassa del bar. Davanti a me c’erano due uomini che ci stavano "provando" con la cassiera, una falsa bionda con la faccia quadrata e gli occhi piccoli.
Che diavolo ci trovavano quei due proprio non lo so.
Buttavo energicamente fuori aria dalla bocca e sbattevo rapidamente il piede destro per terra. Anche la cassiera non dimostrava interesse nei miei confronti.
Ho alzato la mano impugnando il portafogli.
- Posso pagare il caffé? – Le ho detto a voce alta dalla mia terza posizione della coda. La mia lamentela però non ha solleticato per niente la vanitosa ragazza con la ricrescita. La tipa era in preda alle smancerie dei due tipi vestiti da rappresentanti di prodotti farmaceutici in abiti blu e cravatte scure e con ancora gli auricolari dei telefonini infilati nelle orecchie.
- Questo ti è caduta dal portafogli.
Una ragazza, anche lei in coda dietro di me, mi dà un colpetto sulla spalla e sorride guardando quello che mi stava restituendo.
Dal portafogli mi era caduta la figurina plastificata di Goku Super Sayan.
Mi sono defilato dalla coda per la cassa e mi sono immerso nei ricordi di quella figurina.
Due anni prima, quando ancora arbitravo in serie C, prima dell’inizio del campionato chiesi a mio nipote Jerry di darmi un portafortuna per la stagione perché in ballo c’era la serie A.
Il piccolo si mise l’indice alla bocca e puntò gli occhi al soffitto.
- Guko, l’eroe buono che combatte il male! – Mi disse invaso dalla soddisfazione.
- Lo porterò sempre nel taccuino – Gli risposi.
E fu così, veramente. Per quasi tutto il campionato portai nel taccuino dove annotavo i gol e i provvedimenti disciplinari la figurina plastificata del cartone preferito di mio nipote.
Andò tutto troppo bene. Prima di scendere in campo baciavo la figurina, prima del colloquio con l’osservatore che mi avrebbe messo il voto stringevo Guku Super Sayan tra le mani.
Suscitando non poche ilarità nei miei colleghi arbitri, che però poi sorridevano compiaciuti quando dicevo loro la provenienza del portafortuna.
La mattina dell’ultima partita di quella stagione ero nel panico ansioso più totale. Dovevo viaggiare da solo fino alla città della gara. Mi svegliai in ritardo e feci la borsa in fretta e furia.
Mi dimenticai il taccuino a casa.
La gara andò male. Quel giorno entrò nello spogliatoio il nostro capo che era venuto con la decisa intenzione di scegliere se mandarmi in serie A oppure no.
Decise per il no. Al ritorno la porta di casa si aprì da sola, mio nipote era dietro che mi aspettava ansioso.
- Allora? – Mi chiese con la curiosità dei suoi sette anni.
- È andata male – Gli risposi.
Mi abbracciò e mi disse che anche Guko era morto ma adesso era nel paradiso dei Super Sayan a proteggere i suoi figli.
E’ grazie a mio nipote che non ho rimpianti di quell’esperienza.
Grazie a lui ed al bene che mi ha dimostrato, per tutto il campionato mi sono allenato, preparato e impegnato come mai avrei potuto fare.
Sono riuscito ad arrivare ad un piccolissimo balzo dall’ambitissima promozione nella categoria professionistica, ma questo continua tuttora a non importarmi.
La mia serie A l’ho già conquistata e la riconquisto ogni volta che Jerry mi abbraccia e mi dice “ti voglio bene zio”.

- Te l’ho offerto io il caffè – mi ha detto la ragazza che mi aveva restituito la figurina plastificata.
- Grazie due volte allora –
- Fugurati! con un po’ di gentilezza sai quante cose andrebbero meglio…

giovedì 10 settembre 2009

Braco

Braco viveva il suo maggior momento d’infelicità. Godeva soltanto quando captava negli altri suoi amici sentimenti di angoscia e frustrazione. Quindi parlando con loro cercava sempre di metterli di cattivo umore, di scoraggiarli, di trovare in loro quel “qualche cosa” che proprio non andava.
Quel pomeriggio si trovava al bar della stazione di rifornimento davanti alle mura della sua città. Uscì dal locale mangiando la sua coppetta gelato da due euro. Notò che Red, un suo amico, stava fumando una sigaretta davanti alle pompe di benzina.
Colse al volo l’opportunità che Red gli aveva offerto e deciso gli si avvicinò.
- Freud direbbe che il tuo è un tentativo bello e buono per cercare di morire. – gli disse Braco con la testa immersa nella coppetta.
Red, aspirò lentamente una boccata mentre un caldo soffio di vento gli accarezzava i capelli.
Non rispose alla domanda provocatoria di Braco, provocatoria perché sapeva bene che se lui faceva anche solo una battuta era con l’intenzione di metterti in difficoltà.
Red era l’unico che ancora non si era trovato a fronteggiare i suoi rompimenti di coglioni ma aveva capito che adesso era arrivato il suo turno. Decise di giocarsela d’astuzia.
- Allora? Sei depresso? Ti senti solo?, da te non me lo sarei mai aspettato, sei un animale sociale, sei sempre su di giri, sempre allegro, per questo ti considero anche un po’ frivolo, e oggi che fai? Tenti il suicidio? – Braco aveva sferrato l’attacco.
Una serie di viperate assolute che avrebbero fatto crollare anche il più santo dei devoti di Padre Pio.
Red non mosse un ciglio. A questo punto Braco si era convinto: Red era la persona più infelice di questo mondo!
- Che cosa ti rende così triste? – incalzò Braco.
- Perché sei così infelice? La ragazza vero? Ho sempre pensato che lei ti tradisse, tu sei troppo poco per lei.
Neanche questa malvagità fece sussultare Red.

CONTINUA 13/09/2009

Red rimaneva immobile con lo sguardo una spanna sopra i capelli unti di Braco.
Braco lasciò cadere la coppetta gelato e si avvicinò ancora di più alla faccia del suo amico, indispettito dal fatto che le sue domande non avessero ottenuto un'appropriata considerazione.
Poi la bocca di Red si schiuse rapidamente e le labbra pasteggiarono qualche istante il dolce sapore del Virginia.
- Sì - Disse Red.
Braco si aggiustò gli occhiali sulla fronte. Cominciò a vibrare. La testa scattava rapidamente di lato e con gli occhi, rapidi come palline da flipper, cercava visi amici per il necessario conforto.
- Sì?! cosà? - Gli domandò.
Poi senza attendere la risposta che probabilmente sarebbe tardata oltremodo ad arrivare aggiunse:
- Sì cioè, vuoi dire che ti senti veramente infelice?.
Ancora qualche breve attimo di pausa, nel quale Braco cominciò a grattarsi le cospicue maniglie dell'amore, arricciare un paio di volte il naso ed emettere suoni simili ad imprecazioni del tipo: "Sì, sto coglione mi viene a dire di sì, ma chi si crede di essere, mortacci sua!"
- Sì, non credo di essere felice. - Zac! la trappola che Red aveva escogitato era scattata alla perfezione e con questa frase fece strabuzzare gli occhi di Braco che incredulo si passò il palmo della mano sulla barba e il dorso sulla fronte.
- Ma avrai qualche momento di serenità nella vita... non puoi essere così, cioè sempre così giù di morale - Braco ora cercava di farlo ricredere.
- Felice, Braco, Felice! Stiamo parlando di felicità, non di serenità, la serenità è un'altra cosa, nessuno può essere sempre felice, anzi ti dirò di più non credo che esista una persona veramente felice.
Una mazza da Basebal nella fronte gli avrebbe fatto meno male. Braco sudò freddo ripensando a cosa gli erano serviti tutti quei libri sulla psicoanalisi, tutti quei corsi comportamentali, tutte le ora passate sopra le riviste di filosofia, se uno che considerava intelligente come una lucertola, che pensa solo a divertirsi il sabato sera e rimorchiare le ragazze lo gelava con una frase come questa?
No! doveva reagire.

CONTINUA (sempre su questo post) 16/09/2009

- Io credo che il tuo comportamento sia solo dovuto all’immaturità, al fatto che tu non rifletti abbastanza sugli aspetti della vita che … -
- stronzate Braco, solo stronzate – Red lo interruppe con voce ferma ed impostata.
- Ecco ho trovato! Nichilismo! Devi aver letto su qualche rivistine di gossip che adesso va di moda il nichilismo, poi avrai controllato sul vocabolario il significato ed infine te lo sarai fatto spiegare da uno che almeno la laurea l’ha presa.- Braco si convinse della bella risposta che gli aveva dato al punto che un sorriso ed un’espressione di sicurezza spuntarono sul suo viso.
- Se non sei d’accordo con quello che penso perché non mi dimostri il contrario? – replicò Red dopo aver fatto un paio di cerchietti col fumo che gli usciva dalla bocca.
- Come, cosa? Dimostrarti che?, come dovrei fare, non ho bisogno di dimostrarti nulla, è impossibile che al mondo non ci sia almeno una persona felice caro il mio Ballerino di salsa sfigato.
Rispose Braco.
- Allora se ne sei convinto scommettiamoci su. – Ora gli occhi di Red che per tutta la durata della conversazione erano stati cullati dai rami dei pini mossi dal vento si erano posati freddamente sul viso del suo antagonista.
- Cosa dovrei fare? Sentiamo, pensi che io abbia paura di uno che non conosce la differenza tra congiuntivo e condizionale? – Lo provocò Braco.
- Se per questo anche tu, prima.. – gli rispose ridacchiando Red.
- Questo no! Questo non lo accetto perdinci!, va bene facciamo la tua stupida scommessa, dammi tre giorni e ti porto a casa una persona felice. –
- Ok, Braco, oggi mi sento buono facciamo che ti do anche una settimana, se entro sabato prossimo riesci a trovare una persona veramente felice e portarmela a casa avrai vinto.-
- Ok ci sto! – Rispose Braco pensando che il suo amico fosse soltanto un povero coglione.
- Che cosa ci giochiamo? – aggiunse Braco con un'espressione da sicuro vincitore.
- Facciamo che chi perde per un mese non si farà vedere in giro se non con una maglietta con la scritta “Io sono troppo stupido”, alla maglietta ci penso io, tu comincia a correre, vedrai non sarà facile. – Gli disse Red.
- Tu non preoccuparti per me, anzi ti dirò di più inizierò domani con calma, tanto sono sicuro di vincere subito la scommessa - Rispose Braco.
I due si salutarono, Red guardò Braco mentre si apprestava a ritornare dentro al bar e fermatosi all’ingresso dove c’era un gruppo di ragazze chiese ad una di loro una cosa all’orecchio, la ragazza prese la borsetta lo colpì con uno scatto di nervi e gli disse di "andare a cagare".

La mattina dopo Braco si svegliò presto. La sera, prima di addormentarsi, aveva pensato a qualche conoscente che potesse fare al caso suo. Ma ognuno di quelli a cui pensava aveva dei problemi che l'impossibilitavano di certo alla piena felicità. Si decise, quindi, di andare subito "sul campo". Uscì di casa, attraversò le mura medioevali del centro storico, risalì per le vecchie stradine tra i palazzi ottocenteschi ed arrivò davanti alla chiesa del Duomo.
Pensò di evitare coloro che uscivano dalla chiesa dopo la messa, in quanto, pensava che tutti i cristiani soffrisero di uno stupido senso di colpa collettivo, li riteneva una specie di casta di ritardati mentali, quindi difficilmete, secondo lui, avrebbe trovato persone felici.
Voltò lo sguardo e vide i giardini pubblici, da dove venivano grida di bambini alle prese con i giochi che l'amministrazione comunale aveva montato da qualche mese.
Venne colto da una folgorazione. "Perché non ci ho pensato subito? i bambini devono essere per forza felici, non hanno problemi, giocano e basta, non capiscono niente, eh eh troppo facile, Red ti ho già fregato!" disse tra di sè mentre superava i cancelli d'ingresso dei giardini.


CONTINUA (sempre su questo post) 21/09/2009

Braco si avvicinò ai bambini che stavano alle altalene, più li vedeva sorridere più sentiva avvicinarsi la vittoria della scommessa con Red.
Tirò fuori la macchina fotografica e pensò d’immortalare quelle faccette piene di gioia per avere maggiori prove da mostrare all’amico, poi si rivolse ai piccoli festanti.
- Ciao bambini, posso farvi una domanda? – Chiese ai bimbi. I bambini non riposero subito, dovette quindi alzare un po’ la voce?
- Bambini, ripeto, mi ascoltate per favore? Rispondete alle mie domande così da fare una buona azione?
La calma di Braco andava scemando,la sua voce aveva assunto il tono di un disperato alla ricerca di aiuto e questo ai bambini non piacque, perciò non gli risposero. Ora Braco era visibilmente nervoso e rimessa la macchina fotografica nel marsupio si avviò rapido verso l’altalena. Con una mano prese la catena di metallo e fermò l’altalena in corsa. Il bambino che era seduto sopra cadde rovinosamente in avanti, fortunatamente non batté la testa perché si riparò con le mani ma si fece male alle ginocchia che grondavano sangue come le lacrime dai suoi occhi.
- Maledizione, che vi insegnano i vostri genitori, quando un adulto vi parla lo dovete ascoltare!
Tuonò Braco dondolando nervosamente la catena dell’altalena. I bambini si misero a piangere tutti assieme. Braco cercò di farli ragionare ma dovette accasciarsi a terra quando sentì un colpo fortissimo che lo raggiunse dietro la testa. Si tirò su e vide un vecchio che agitava un bastone di legno in aria che con espressione minacciosa gli intimò di andare via subito.
- Vattene brutto pervertito pazzoide, se ti fai vedere qui un’altra volta per te saranno guai.
Braco si rialzò da terra e a testa bassa si diresse verso l’uscita quando sentì una voce che lo chiamò.
- Signore scusi che cosa ci voleva chiedere? – Era un bambino che aveva lasciato la comitiva e con la sua faccina angelica si era rivolto al povero Braco.
- Bambino, grazie – Il faccione di Braco s’illuminò di un sorriso spontaneo, felice di aver trovato almeno un bambino disposto ad ascoltarlo. Dentro di sé pensò “Eccolo, ne sono sicuro eccolo, questo bimbetto, anche se un po’ bruttino, sarà il Braco del futuro, eccolo un vero pensatore, un’anima nobile”
- Allora signore che cosa ci voleva chiedere? – Gli ripeté il bambino mentre dondolava col busto e le mani dietro la schiena. Braco s’inginocchiò e avvicinò la sua faccia a quella del bambino e accarezzandogli la testa gli chiese:
- Volevo sapere chi di voi è felice, soltanto questo, tu sei felice piccolino?
Ma il piccolo aveva in mente altro che rispondere alla domanda di Braco, infatti dietro le mani teneva un bastone con infilzata una cacca di cane e la spiaccicò sulla faccia di Braco per poi salutarlo con una pernacchia e correre di nuovo dai suoi amici che si erano gustati la scena ed ora tutti assieme ne stavano ridendo.

Continua ( sempre su questo post ) 22/09/2009

Braco, infuriato, si rimise in piedi. Con passo svelto e con lo sguardo basso s’incamminò, scalciando i sassolini dello stradellino, fino all’uscita, inveendo e offendendo i vecchi e i bambini presenti. Dopo essersi pulito il viso e gli occhiali alla fontanella si rivolse ancora ai piccolini.
- I vostri genitori vi odiano! Presto sarete dati tutti in adozione!
Poi con un sorriso ritrovato uscì finalmente dal giardino. Tirò un sospiro di sollievo come chi guarda l’orologio e vede che ancora è in anticipo quando prese un bel respiro e si diresse verso il centro della piazza. Si convinse della difficoltà della scommessa ma allo stesso tempo pregustava la faccia da stolto di Red che con la bocca spalancata gli dava ragione e lo proclamava vincitore.
Mentre camminava pensava a voce alta. Osservava Braco. Studiava le persone. Le immaginava nelle loro vite di tutti i giorni. La sua attenzione fu catturata da un cameriere che serviva cappuccini ai tavolini del bar del Centro. “effettivamente è un bel ragazzo, e questo aiuta, sorride, lavora serenamente, però è pur sempre un cameriere, probabilmente non avrà finito gli studi e si sarà dovuto cercare un lavoro per tirare a campare, o magari è il figlio del padrone del bar, allora le cose potrebbero essere diverse.”
- Senti tu, questo posto è tuo?
Chiese al cameriere mentre dava il resto a delle turiste tedesche che lo riempivano di complimenti.
- Come dice signore?
Gli rispose il cameriere.
“Non è nemmeno molto sveglio, forse sto perdendo tempo” pensò Braco.
- Dicevo se questa baracca è tua o sei solo un dipendente.
- Questo BAR, è del signor Carosi.
- E fai solo questo di lavoro?
- E quanti altri lavori dovrei fare secondo lei?, E poi cosa le interessa?
Rispose il giovanotto strusciandosi il dorso delle mani sul gilet rosso.
- Niente, niente era solo per chiedere.
Rispose Braco con sufficienza e un’espressione che voleva palesemente dire ”Fallito!”.
Il cameriere andò nel retrobottega e ritornò con un cartone di succhi di frutta.
Braco si convinse di guardare oltre. Ne fu quasi felice, in effetti era felice ogni volta che una persona dimostrava, secondo il suo parere, di non poter essere felice.
In effetti se avesse trovato realmente una persona felice nello stesso luogo dove viveva lui e che conduceva più o meno la stessa sua esistenza, si sarebbe sentito male.
Decise allora di guardare oltre, di non perdere tempo con la “gentaglia” che gli strisciava miseramente attorno, con i poveracci che conducevano esistenze che “chiamare” vivere e non “sopravvivere” sarebbe stato uno sbaglio grossolano.
Uomini e donne con stipendi miseri tiravano avanti alla sperandio con affitto da pagare e figli da mantenere.
Doveva puntare più in alto.
L’occasione gliela diede il giornale che lesse quella domenica mattina nel bar dove andò per interrogare il giovanotto.
“Sabato prossimo Sandro Trapettoni incontrerà i giovani in piazza” Braco lesse la scritta che campeggiava in seconda pagina del quotidiano locale.
Fu come colpito da un fulmine. Se avesse avuto una lampadina in mano, questa, si sarebbe sicuramente accesa.
Aveva cinque giorni per preparare il tutto.

Continua ( sempre su questo post 28/09/2009 )

CINQUE GIORNI DOPO: OGGI.

Sono le undici di notte.
Un uomo passeggia per un vicolo nel centro della città. L’uomo alza lo sguardo. Nella fila di cemento e vetri composta dalle mure e le finestre una sola luce accesa. Da quella finestra esce una musica.
- Abbassa la radio Drogato!
All’uomo quella musica non piace e continua per i suoi passi.
Dentro quell’appartamento c'è Red che si sta pettinando, mentre balzella sul suo letto al ritmo del successo Pop del momento.
E’ su di giri il nostro amico. Pronto a sorridere ogni volta che l’espressione che regala allo specchio lo soddisfa.
Suono del campanello.
Red salta giù dal letto. Pensa che sia la sua vecchia vicina di casa che questo week-end non è andata a trovare la figlia e i nipoti nella casa di campagna e quindi non riesce a dormire, infastidita dal volume troppo alto del suo stereo. Con un coperchio da pentole copre le righe di colombiana e sbuffando e maledicendo i vecchi rompicoglioni va ad aprire.
- ciao Red! Fammi entrare ce l’ho fatta!
A trovare la figlia e i nipoti la vicina c’era evidentemente andata, in quanto dalla catenella emerge il faccione affaticato di Braco.
- E tu che cazzo ci fai qui a quest’ora? – gli chiede Red.
- Fammi entrare, non ce la faccio più – lo supplica Braco.
Appena Red toglie la catenella dalla porta Braco entra tirandosi dietro una sorpresa.
- Che cazzo sarebbe questo? – Red impallidisce di fronte alla stranezza che il suo amico ha portato con sé.
- E’ il persiano di mia nonna, ah forse tu non sei mai stato a casa di mia nonna e quindi non te lo potresti ricordare… Ah! Ah! senti che musica da sfigato, lo sapevo che era un discotecaro da quattro soldi.. – Risponde Braco.
- Lo vedo che è un tappeto. Voglio sapere perché si muove e che cazzo ci fa in casa mia –
- Lo sai che giorno è oggi vero? , certo che lo sai – gli chiede Braco.
- Sabato, brutto coglione e la gente il sabato, esce con gli amici, va a mangiare una pizza, va in discoteca, non si presenta a casa degli altri con tappeti arrotolati e … parla pure?
Dal tappeto cominciano ad uscire piccoli lamenti.
- Braco che.. chi c’è dentro?- Chiede Red.
- C’è la vittoria della nostra scommessa. – Gli risponde Braco alzando il mento.
- C’è una persona? Lì dentro? – lo interroga Red.
Il tappeto comincia a muoversi più forte ed ascoltandolo bene si può sentire una voce che dice “sì, sì mi aiuti!”.
Braco lo colpisce con un calcetto proprio nel mezzo.
- Mettiti questa maschera ora lo vedrai. - Braco porge una maschera da "Uomo Ragno" a Red, mentre si sistema sulla faccia quella da "La Cosa dei Fantastici Quattro".


CONTINUA (01/10/09)

Red è restio ad infilarsi la maschera in faccia, poi però quando vede che Braco s’inginocchia a terra e comincia a rompere lo spago che tiene legato il tappeto, l'indossa quasi istintivamente.
- Eccolo qua! – esclama Braco rivolgendo la testa incappucciata all’amico.
- Ma io questo, mi sembra.. lo conosco.. no! No può essere! Sei pazzo!.. Sei pazzo! Rimettilo dentro e portalo immediatamente fuori da casa mia! - Grida Red, mentre con una mano stringe e strattona la spalla dell’amico.
- Mollami vigliacco! Un patto è un patto! Certo che lo conosci, questa settimana era su tutti i manifesti della città. Caro mio, ho il piacere di presentarti Sandro Trapettoni! L’uomo più felice del mondo!
- Lo hai fatto per la scommessa.. brutto pazzoide, quella era solo un gioco, un modo per toglierti dalle palle almeno per una settimana, Cristo Santo, ad averlo saputo ti avrei chiesto di portarmi a casa la donna più ninfomane del mondo.
- Gioco o non gioco la scommessa è praticamente vinta. Ti aspetterò tutte le mattine davanti a casa per vedere se indosserai la maglietta con la scritta da cretino ah ah! non vedo l’ora. Avanti Sandrino, digli che sei felice!
Braco è in piena estasi, ma ancora la scommessa non è vinta. Trapettoni deve ancora confermare quello su cui Braco aveva puntato e che Red credeva impossibile, ovvero che al mondo esiste una persona veramente felice.
- Ma cosa dice? che è lei cribbio?! Mi liberi immediatamente o peggiorerà la sua situazione. -
Risponde Trapettoni alla richiesta di Braco.
- Devi dire se sei felice? – insiste Braco.
- Aspetta Braco, se la metti così allora la domanda falla fare a me, sei troppo nervoso ed agitato, e lo stai spaventando.
- Senta signor Trapettoni, io e il mio amico abbiamo fatto una scommessa. Abbiamo scommesso sul fatto che al mondo non esiste una persona veramente felice. Ora lei ci risponda e noi la lasceremo andare, la slegheremo, le infileremo una maschera e la porteremo in centro, la prego mi creda io non voglio farle del male e neanche il mio amico, ma vede lui è fatto così, quando si mette in testa una cosa..
- Mi faccia questa domanda e mi lasci andare – Risponde il Trapettoni.
- Lei è felice? – Gli chiede lapidario Red.
- Come fa a non esserlo… come fa a non essere felice, con tutte quelle donne, tutti quei soldi, le ville, se non è felice lui… - borbotta Braco.
- Ehi non influenzare la risposta o annullo la scommessa. – Gli intima Red.
- Felice? Mha… direi …. – Trapettoni comincia a rispondere-
Braco comincia a salterellare sulle punte dei piedi pronto ad alzare le braccia in segno di vittoria.
- Felice… Ho settantadue anni, faccio sesso con ragazze di venti, ho un aereo privato, la gente mi adora,.. felice… ma non diciamo cazzate per la malora! Come pensate soltanto che io possa essere felice! Guardatemi: porto i tacchi, mi trucco tutti i giorni come una donna, sono l’uomo più solo di questo mondo, non mi posso fidare di nessuno.. ma come pensate che possa esserlo? Sì lo credo anch’io, penso che a questo mondo non esista una persona veramente felice.-
Braco non gli fece finire la frase. Lo afferrò per i capelli e gli sferrò un colpo di tacco sullo sterno.
- Ed hai pure il parrucchino, maledetto nano – L'aggeggio posticcio rimane nelle mani di Braco dopo il calcio al petto.

CONTINUA (sempre su questo post)


Trapettoni è a terra che rotola con le mani premute sul petto. Braco infuriato perché capisce che ha perso la scommessa vuole rifarsi sull’uomo nel quale conservava tutte le sue speranze, anzi le sue sicurezze andate in fumo.
Gli si avvicina con l’intento di colpirlo di nuovo.
- Adesso ti ammazzo brutto schifoso.-
Red riesce a fermare l’amico che respira come un toro nell’arena.
- Che ti salta in testa? Lascia perdere! Annullo la scommessa! Annullo la scommessa!
- Red che succede?.
Dal bagno esce una donna vestita con un kimono e con i capelli bagnati.
Alla vista delle tre figure, le due mascherate e l’uomo che rotola a terra, la donna si mette a gridare.
- SSSS tesoro sono io!.- Red cerca di calmare la bionda che strilla come un pulcino in una mano.
Per farla calmare poi Red si toglie la maschera e la ragazza prende respiro.
- Ma perché ti sei messo sta cosa sulla faccia e chi sono loro? E perché quel signore sta male?
Chiede a Red la bionda dalle dolci forme e i capelli bagnati.
- Ci mancava anche la puttana! – Sbuffa Braco.
Trapettoni alla vista della ragazza si sente meglio. Trova addirittura la forza di alzarsi in piedi.
- Buona sera signorina, vorrei presentarmi sono Sandro Trapettoni-
- Ma è proprio lei.. non ci posso credere cosa ci fa qui? E’ amico di Red ?
- No signorina sono stato condotto qui mio malgrado da quell’energumeno con la faccia mascherata.
- E’ un cretino. Come fa a non essere felice, se non è felice lui a questo mondo chi può esserlo…chi?! – risponde disperato l’energumeno con la faccia da "La Cosa".
- Ma tu sei Braco, ti riconosco! Togliti quella stupida maschera che mi fai paura.
La Bionda riconosce la voce dell’amico del suo ragazzo.
- No! Potrebbe riconoscermi e dopo denunciarmi, non voglio andare in galera…in galera i nobili d’animo come me li fanno secchi entro la prima settimana se va bene, se va male li fanno diventare stupidi come Red..io lo ammazzo, lo ammazzo.
- Tu non ammazzi nessuno – Gli dice Red.
- Adesso chiediamo scusa a Trapettoni e penso ci perdonerà, non è vero? – guardando supplichevole il signor Sandro.
- Bhe per la malora, non dico lei che insomma ha la sola colpa di essere suo amico, ma il tipo lì dovrebbe essere rinchiuso e dovrebbero buttare via la chiave. – gli risponde Trapettoni
- La prego lei è così buono, sempre così gentile, non si potrebbe fare qualcosa per riparare?
Lo supplica la ragazza bionda.

Due ore dopo

I due amici sono seduti sul divano. Red sta fumando sconsolatamente una sigaretta dopo l’altra, Braco è con gli occhi sbarrati e le orecchie tese.
- Maledetto deficiente, ma perché ti sono ancora amico, guarda quello che mi hai fatto fare - gli dice Red.
- Su non prendertela, volevi passare il resto della tua vita in gabbia? – gli risponde Braco.
-Ahh, ahhh, ancora… ancoraaa- si sentono grida dalla camera da letto.
- Se tu non avessi fatto questa cazzata adesso io non sarei qui a pensare a Trapettoni che si monta Michela da due ore in camera mia.
Braco non risponde è troppo concentrato dai gemiti prodotti dai due amanti.
- Oh sì come godo!-
- Mmm “godo” dice la senti? – domanda Braco all’amico.
- Sei proprio un bastardo, da domani non farti più vedere, mi hai rotto le palle.. – Red parla ma senza rispondere alle sua continue domande.
- Mi piace sei fantastico, sì! –
- E’ fantastico – ripete Braco
- Fottuto figlio di puttana ma perché non ti fai vedere da uno specialista invece di…
- Sì così, così, mi fai felice! Sì – ancora le grida della ragazza a riempire l’appartamento.
- Ah ah sì! – grida Braco scattando in piedi.
- Che cazzo hai da sorriderti brutto cretino? - Gli chiede Red.
- L’hai sentita, l’hai sentita anche tu! – Gli dice Braco.
- Sentito cosa? Ma che cavolo vai blaterando? – Risponde Red.
- lo ha detto, lo ha detto, è lei! è lei!, l’hai sentita anche tu, lei ha detto che è felice ed io.. ho vinto la scommessa!
Red sprofonda con la faccia nelle mani mentre il suo amico con in testa la maschera da "La Cosa dei fantastici quattro" esulta ai copiosi amplessi dei due amanti provenienti dalla stanza accanto.

FINE


DISCLAIMER: "OGNI RIFERIMENTO A FATTI O PERSONE REALI E' PURAMENTE CASUALE"

giovedì 20 agosto 2009

LA PARTITA - QUARTA E ULTIMA PARTE

E' ora di ricominciare. Mi risiedo al mio posto mentre il nuovo mazziere inizia il primo giro. Il pelato è visibilmente turbato. Il maniaco probabilmente nemmeno si è accorto del cambio, tanto ha la testa infilata tra le braccia per la disperazione di aver perso tutto quel denaro. Gli altri giocatori con lo sguardo cercano me. Mi fanno un cenno d'assenso, quasi avessero capito quello che ho fatto. La cosa mi preoccupa.
Se anche loro se ne erano accorti, perché non erano intervenuti prima?
Il vecchio che mi sedeva vicino abbassò la testa portandola davanti alla mia.
- Secondo te il pinguino è al nostro tavolo?
Alzai le spalle come risposta.
- Secondo me no! - continuò - Angelo è l'unico che vince e lo conosco, non è lui, gli altri per ora hanno fatto giocate troppo stupide per essere professionisti.
- Potresti essere tu vecchio, in fondo io non ti conosco - gli rispondo.
- Magari essere tanto bravo da meritarmi un soprannome al tavolo - mentre rialza la testa e si mette al suo posto per leggere le carte.
Non ero lì per la gloria, non ero lì solo per i soldi, ero lì per vendetta.
Andavo a caccia dei professionisti di poker. Nei sottobar, nelle bische, in appartamenti "sicuri". Mi facevo invitare da gente conosciuta ai tavoli, dove avevo perso apposta per farmi cucire addosso l'immagine del pollo e poi in un'altra sera, quella vera, giocavo come sono capace e portavo via almeno dieci volte la somma investita.
In meno di un'ora tolsi tutte le fiches al pelato. Lasciai stare gli altri, dissi solo di lasciare perdere il tavolo cash e dedicarsi ai tornei dove si paga un Buy-in modico per non rischiare di rimanere in mutande molte presto.
Offrii da bere al vecchio che questa volta non mi fece domande ma mi guardò con aria d'intesa.
All'uscita del bar, il pelato provò addirittura a minacciarmi con una spranga, forse per questo gli altri avevano timore di lui.
A calmarlo bastò una rapida occhiata alla mia amichetta sotto la giacca.

Le persone sono le carte che hanno in mano. Io riuscivo a far credere a tutti che stavo giocando con il punto più alto del loro. Il mio sangue di alligatore. Questo è un dono che mi ha dato la vita da un giorno all'altro.
Di quel giorno preciso mi ricordo il rumore della macchinetta radiocomandata. Ero seduto per terra. Avevo cinque anni. Una salopette rossa di velluto, scalzo davanti alla terrazza. La SuperFox della Nikko entrava e usciva dal finestrone saltellando sul bordo delle mattonelle.
Mia madre mi venne dietro, tenendomi le mani sugli occhi e avvicinandosi mi disse:
- ti ricordi quel film che abbiamo visto qualche giorno fa, quello sugli animali dei ghiacci? - ricordo la voce calda e a tratti singhiozzante.
- ti ricordi che la mamma del cucciolo doveva partire per tanto tempo e lasciava il cucciolo col papà? -
Mossi la testa in su e giù, stretta ancora tra le sua mani che ora iniziavano a tremare.
- Vedi cucciolo mio, anche tua madre ora deve partire per tanto tempo, ma vedrai ritornerò come fanno le mamme di quei cuccioli, tornerò piccolo mio, tornerò piccolo mio.-
Ricordo le lacrime calde sui miei capelli neri.
Ricordo che liberai la testa e mi voltai verso di lei.
"mamma non piangere" le avrei voluto dire.
In quel preciso istante scattai la prima foto mentale della mia vita.
Mi voltai per non vederla piangere, la macchinetta radiocomandata si era cappottata e le ruote continuavano a girare nel vuoto.
Le ultime parole che sentii da mia madre furono:
- ciao cucciolo, ciao pinguino mio.

lunedì 10 agosto 2009

LA PARTITA - PARTE TERZA

I primi giri sto buono. Voglio vedere chi sono i miei avversari e se l'idea che mi sono fatto di loro non è sbagliata. L'uomo alla mia destra, ogni volta che il mazziere lo guarda mette le fiches sul tavolo. Sembra un invasato in piena crisi di tremore. Uno di quelli che in gergo viene definito "maniac". Gioca tutte le mani, non molla un colpo e anche quando è certo di aver perso punta i suoi ultimi soldi. Dopo neanche un'ora sarà andato al bancone delle fiches almeno tre volte. A guidare il gioco è il pelato che mi sta di fronte. Ha un consistente gruzzolo davanti a sé, stutto sparpagliato per il panno. Non lo sopporto. Le fiches devono essere sempre sistemate per far vedere agli avversari quanto ti puoi giocare. Che non fosse un giocatore leale l'ho capito subito dopo. Mi era già salita la pulce al naso quando per tre volte di fila aveva chiuso due colori e una scala con le ultime due carte contro il povero maniaco, ma ora ne avevo la certezza. Nell'ultimo giro ho sentito lo schiocco del mazziere. Anche il pelato se n'è accorto che questa volta il rumore era più forte del solito. Quando le dita si stancano, capita che si formino piccoli crampi alle mani e mentre il bastardo dava le carte ho sentito l'indice e il pollice scontrarsi. Questo avviene quando il mazziere cerca di far passare la carta, messa appositamente in fondo, di sopra. Dato per certo che il mazziere e il pelato erano d’accordo decisi di non entrare in nessuna mano fino alla pausa.
Alla pausa mi alzo, seguo il Mazziere che si dirige al bancone. Il pelato, per non dare nell’occhio, rimane fermo al tavolo a contare le fiches.
Mi siedo al bancone vicino al mazziere:
- che vuoi offrirmi da bere per cercare di corrompermi? – dice sorridendomi appena mi siedo e lo guardo in faccia.
Esplodo in una espressione infantile, fingo di parlare con un vecchio amico, annuendo e sorridendo a tempo gli rispondo:
- tu adesso vai dal floorman e gli dici che devi andare a casa perché ti fa male la pancia.
- Cosa? La pancia, ma sei impazzito?- mi risponde cambiando totalmente espressione.
- Rilassati o sarà solo peggio, ho visto il giochetto che hai fatto fino ad ora col tuo amico testa d’uovo, ma ora mi sono stancato, il pollo lo avete ripulito e voglio giocare.
- non so quello che dici io..
Alzo la giacca e gli mostro la mia amica Bobcat infilata nella cintura dei pantaloni.
- Sorridi! – mentre cono un colpetto alla sua spalla fingo di scherzare e divertirmi.
Il riporto di capelli del tipo s’impregna di sudore mostrando quasi completamente la sua testona bianca.
- bravo vedi che stai già cominciando a stare male?
Era bianco come un velo da sposa e grondava sudore a rivoli dalla fronte e dal collo.
Si alzò come uno zombie e si diresse verso il direttore di sala. Il floorman appunto.

CONTINUA

mercoledì 5 agosto 2009

LA PARTITA - PARTE SECONDA

Sono le 23. E' ora di prendere posto al tavolo. Entro nella sala. Mi dirigo al banco per cambiare i soldi con le fiches. C'è una ragazza, mastica gomma americana con la bocca spalancata, ha i capelli piatti e appiccicati al viso. Non avrà neanche venti anni. Le dico "duemila" e le chiedo d'indicarmi il tavolo. Con la lingua rivestita di chewingum punta verso il tavolo a destra poi sorride e mi fa l'occhiolino.
Davanti a me ho uno pelato con la camicia hawaiana e il gilet di pelle, ha Il braccio sinistro di due tonalità più abbronzato del destro, deve essere un camionista. Alla sinistra del mazziere c'è un ragazzo che ascolta L'Ipod e muove la testa freneticamente. Alla mia destra c'è un uomo che cerca di trattenere il tremore alle gambe, è molto magro e pallido, vestito con un largo abito grigio e una cravatta a fiori. Alla mia sinistra il vecchio bastardo di prima. A riempire il tavolo altri due che parlano insieme, sembrano due turisti che si sono persi. Questi Questi giocatori sono studenti, operai e pensionati.
In definitiva, solo "personcine" in cerca di emozioni forti.
Neanche lo sbadiglio di un professionista.
Ad ognuno di essi scatto una foto, l'immortamo mentre sono tranquilli, a parte il tipo alla mia destra, per poi rivederli nelle situazioni dove lo stress è difficile da gestire e se non hai il sangue di un rettile, difficilmente potrai avere la meglio.
Ho trentadue anni. Gioco da quando ne avevo sedici. Gioco perché mia madre se n'è andata con un professionista di poker, lasciandomi solo con mio padre, un povero impiegato di una ditta di vernici, che però, quando si è trovato solo ha abbassato la testa ed ha fatto di tutto per non farmi mancare niente. Non mi è mai mancato niente in effetti, a parte la mia vendetta sul coglione che si è preso mia madre.
Ho sognato d'incrociarlo al tavolo, con lei magari che gli siede al fianco a tifare per lui e poi lo lascia perché io gli porto via tutto.
Questo può essere solo un sogno però. Io mia madre me la ricordo appena, ormai se la incrociassi non riuscirei neanche a riconoscerla. Ma v'immaginate quanto può essere brutto sapere di avere una madre e non poterla neanche riconoscere?
A volte ho avuto addrittura paura che camminando per strada una donna mi si avvicini per dirmi "ciao tesoro, non mi riconosci? sono la mamma.." è terribile.

CONTINUA

lunedì 3 agosto 2009

LA PARTITA

Chi non ha nulla da perdere si riempe il corpo di tatuaggi. Così, come per dire "tanto peggio di così non può andare" oppure "colpiscimi pure, non puoi peggiorare la mia situazione". Tatuaggi, cicatrici, piercing. Sono un pò i segni che contraddistinguono la sofferenza, o meglio, il volerla ostentare.
In certi luoghi di questi artifici non ce n'è alcun bisogno.
Per esempio questo vecchio che da dieci minuti mi rotea davanti alla faccia con la sua testa. Non ha ancora detto una parola ma sorride mentre mi guarda con l'unico occhio aperto, il sinistro, rossissimo e l'altro semi chiuso ma con una leggera fessura dalla quale si può vedere, ogni volta che il vecchio punta il suo muso secco verso la luce, un bianco infinito, un candore d'uovo.
Apre la bocca e lo spettacolo non migliora. Mentre mastica si passa la lingua tra gli ultimi denti rimasti come pochi palazzi semidistrutti ma rimasti in piedi dopo un bombardamento.
Gli scatto una foto, non con la macchina fotografica, ma nella mia testa. Ho sempre avuto questa mania. Mi piace collezionare immagini, di posti, di persone, anche solo una parte del corpo. Gli scatto una foto e la metto nel cervello, come un armadietto, come una scrivania. Quando le “riguardo” sono diventate come le foto che si fanno alle immagini in televisione, un po’ come le opere di artista romano morto d’infarto giovane, una decina di anni prima. Morire d’infarto, non dovrebbe essere un granché.
Stavo comodamente seduto al bancone di un bar di via Settevalli.
Guardavo l’insegna “poker room” sopra la porta davanti al biliardo.
E' un miscuglio di saliva, poltiglia di arachidi e schiuma di birra quella che gli zampilla dalla bocca quando questo maledetto vecchio, si decide di parlarmi.
- ne serve di coraggio per entrare in quella sala.
Non rispondo alla sua domanda, tiro giù un sorso della mia birra e mi passo la mano sulla bocca.
- questa sera poi dicono che verrà il Pinguino a giocare. – continua il vecchio.
- È un buon giocatore? – gli chiedo rompendo il ghiaccio che al tipo però sembrava non interessare.
- Qui non si è mai visto, non lo conosce nessuno, però ha telefonato oggi, ha chiesto informazioni sul gioco ed ha riservato un posto per il cash.
Osservo gli uomini che entrano nella sala. Ci sono molti giovani. Si vestono come i professionisti che vedono in Tv il venerdì sera. Ma sono inesperti, paurosi. Quando vedono due donne il sangue gli comincia a bollire. E appena sul tavolo scende un asso, cominciano a sudare e si maledicono e sperano solo che tu gli rilanci di almeno la metà del piatto per farli scappare di corsa.

CONTINUA

martedì 28 luglio 2009

Squartamenti

Entrò nella stanza, scivolando nella penombra dalla quale era avvolta.
Aprì le persiane, quel tanto da illuminare il corpo senza vita sul tavolo.
Prese un coltello. Aveva visto la scena molte volte e le sembrava possibile ripeterla perfettamente.
La luce sbattè violentemente sulla lama illuminando la testa del malcapitato che
recise con un taglio netto alla base del collo. Il corpo non ebbe sussulti. Giaceva freddo e senza rispetto in balia della curiosità di Dhalia.
Con la punta della lama esercitò una pressione sul petto per creare uno squarcio.
Poi con la sola forza delle mani aprì il torace.
Le avevano detto che era morto dissanguato e probabilmente i proiettili da estrarre non erano molti.
I proiettili raccolti li sistemò su di un piatto di lamiera, mentre lei continuava a tagliare la carne con la bocca lievemente spalancata e la saliva che cominciava a fuoriuscire dai lati della bocca come se si fosse inebetita.
Era il piacere. Tagliare, spezzare le ossa, spellare. Era sempre stata la sua passione ed ora che in casa non c'era nessuno, poteva esercitarsi lei nel mestiere che aveva sempre soltanto ammirato fare agli altri più grandi.
Ne fece otto parti e le condì con olio, peperoni verdi tagliati a strisce sottilie e infornò l'arrosto di fagiano per cena.

mercoledì 8 luglio 2009

l'ombra delle nuvole sul viso




Dove sono le orme che ci hanno attraversato la pelle?
Il respiro dopo le corse, quello che così insistentemente abbiamo cercato.
La saliva cola dal muretto superando gli sbuffi di muschio avanza inesorabile verso un gruppo di formiche, le travolge, mentre trattengono briciole di pane tra le fauci.
Spiove e i rigoli brillano come bracciali.
La signora ritorna dal mercato con due buste di frutta e verdura. Le appoggia davanti alla porta e cerca invano la chiave.
Suona, non riceve risposta. Stringe gli occhi e sbatte la fronte alla porta.
Ricorda che il suo vecchio marito l'ha lasciata proprio un anno fa.
Bambini escono dai garage con palloni e urla di gioia, sembra calpestino suolo lunare.
Un gruppo di uomini soli beve vino ad un bar, "io sono felice" mi avverte il più triste di essi.
Mentre io, con una mano, mi riparo dall'ombra delle nuvole sul viso.

venerdì 9 gennaio 2009

Hiver


fotografo: Fabio Lana


Mordimi
se dici che sono buono
la mia carne
è un miele amaro e caldo
tu, adesso,
sei una canzone francese.
Esco dal bar di una stazione
seguito da una nuvola di fumo,
mi abbottono il cappotto
e guardo il cielo,
“rien de rien”
sputo la sigaretta,
m’incammino
e t’amo.